Artigianale, basta la parola

Non so a quanti possa interessare, ma a volte mi torna in mente un episodio che ho vissuto dopo aver scritto un articolo sul Salone del Gusto, forse l’edizione 2004, per la rivista dove lavoravo al tempo. Era un pezzo molto generico, considerato lo spazio che avevo, che sottolineava l’enorme successo della manifestazione e cose del genere…

Mi ero semplicemente domandato che cosa avessero a che fare certi stand di aziende dal marchio ben noto, frequentemente pubblicizzato in televisione, con quella realtà fatta di allevatori di yak e pastori polacchi. Dopo solo qualche giorno dall’uscita in edicola, mi beccai una telefonata dell’ufficio stampa della suddetta azienda che non solo mi sottolineava quanto anche loro fossero “artigianali”, ma addirittura mi invitava a controllare di persona… Ora, l’episodio mi serve per spiegare una riflessione che sta maturando nella mia zucca e cioè, in primo luogo, che il termine “industriale” è aborrito da tutti o quasi e che, di converso, tutti sono, o pretendono di essere, “artigianali”. In secondo luogo, che il termine “artigianale” dia di per sé la patente di qualità indiscussa e indiscutibile.


Io ho dei dubbi. Soprattutto guardando al mondo della birra artigianale dove quello che, ormai credo sia chiaro a tutti, è un vero e proprio fenomeno di moda comporta di conseguenza una ridefinizione dei giudizi. In maniera obiettiva, se possibile. Mai, in effetti, come in quest’ultimo anno ho assistito alla nascita di nuove avventure artigianal-birrarie. Avventure spesso nate, a mio avviso, con la tecnica della “guerra-lampo” ovvero qualche mese di prova e poi via, a vendere. Almeno nella propria zona. Visto da lontano sembra di assistere a un vero e proprio spettacolo di fuochi d’artificio con un incessante incalzare di notizie di nuove aperture, che si salutano con naturale entusiasmo, ma osservando più da vicino, e magari assaggiando, si trovano parecchie delusioni: birre troppo giovani, sbilanciate, con odori terrificanti…. In pratica, imbevibili. Nelle schiere degli artigianal-entusiasti, che a volte sembrano davvero un po’ talebani, i difetti vengono spesso scambiati per “estro creativo” del birraio, “personalità e carattere” dei suoi prodotti, “unicità” e quant’altro… Ma questo può, forse, andare bene finché si rimane, appunto, tra entusiasti. Quando poi si affronta il mercato, odiatissimo simbolo capitalista ma vero obiettivo per chi vuol fare la birra e camparci sopra, il discorso cambia. Tempo fa parlavo con un noto birraio su argomenti vari, dalla birra alla vita vissuta, e mi aveva colpito molto il racconto dei lunghi mesi, anni direi, di prove e controprove prima di avere il fegato di provare a vendere le sue birre al pubblico. Altri tempi? Mica tanto, se pensiamo che si sta parlando di poco più di dieci anni fa. Oggi invece, ma se mi sbaglio accetto smentite, mi sembra che i tempi della “messa a punto” si stiano accorciando pericolosamente. A scapito di chi assaggia per la prima volta una birra artigianale, e di tutto il movimento stesso….

di Maurizio Maestrelli