Fare la birra con il kit: introduzione
I kit pronti rappresentano un’ottima opzione per chi vuole avvicinarsi al mondo della produzione casalinga di birra. Consentono di prendere confidenza con il processo di produzione in modo semplice e immediato. Ovviamente non si ha la libertà di costruire una ricetta o personalizzare la birra come si preferisce, ma la semplicità e l’immediatezza nell’utilizzo rappresentano la principale attrattiva di questo metodo. I kit con estratto luppolato sono in assoluto i più semplici da gestire: è sufficiente aprire la lattina, svuotare il contenuto in un fermentatore, aggiungere zucchero, un po’ di acqua, lievito, e il gioco è fatto. Il problema è che spesso ci si avvicina a questa soluzione senza la minima cognizione di causa. Si cerca a tutti i costi di personalizzare le ricette proposte dai kit aggiungendo gli ingredienti più assurdi nella speranza di migliorare il prodotto finito. Purtroppo nella migliore delle ipotesi verrà invece peggiorato e spesso reso addirittura imbevibile, con conseguente crisi depressiva dell’aspirante birraio casalingo.
È quindi sbagliato iniziare dai kit luppolati? No, anzi. Partire dai kit aiuta a focalizzare l’attenzione su passaggi importanti come la sanitizzazione dell’attrezzatura e l’imbottigliamento. Queste fasi della produzione sono infatti le medesime sia per chi produce birra con i kit sia per chi lo fa con procedimenti più avanzati. Si riduce anche l’attrezzatura necessaria e quindi l’investimento iniziale: con poco più di un centinaio di euro si acquistano tutti gli accessori necessari alla produzione. Inoltre, la maggior parte dell’attrezzatura potrà essere utilizzata anche quando si passerà a tecniche di produzione più complesse.
Insomma: con un po’ di attenzione si possono produrre birre decenti anche dai kit luppolati. Tuttavia, l’aspetto più importante di questo metodo non è tanto il prodotto finale ma l’opportunità di fare pratica con l’attrezzatura e il procedimento. Alcuni kit sono meglio di altri, ma dagli estratti luppolati non nascono certo dei capolavori. Diciamo che un paio di kit aiutano a prendere confidenza con attrezzatura e processo, ma rappresentano solo un passaggio verso altre mete. L’importante è non lasciarsi troppo prendere dagli istinti creativi cercando invece di imparare il più possibile strada facendo.
Prima di procedere illustrando le varie fasi, è necessario spiegare a grandi linee il procedimento per avere le idee più chiare su quello che andremmo a fare. Usare il kit significa semplificare il processo, una vera e propria “scorciatoia”, dato che la parte di ammostamento e di bollitura è inscatolata in una latta chiamata kit, (da non confondere col kit comprendente bidone, tappatore ecc..), al cui interno troviamo una melassa: è la base per la nostra birra. Di queste latte ne esistono diverse qualità, per diversi tipi di birra. Il contenuto della latta va sciolto nella quantità di acqua prescritta, solitamente i classici 5 galloni – 23 litri. Una volta scaldato a bagnomaria il kit si versa il contenuto nella pentola dell’acqua calda a fuoco spento (questo per evitare ulteriori caramellizzazioni), si sciacqua la latta sempre con acqua calda amalgamando bene il tutto, e infine si rovescia il mosto appena ottenuto nel fermentatore aggiungendo la quantità d’acqua desiderata.
Da questo momento in poi, indifferentemente dalle tecniche utilizzate (kit, estratto+grani, allgrain), il procedimento diventa uguale per tutti. Si idrata il lievito per 15-20 minuti in un pentolino con acqua tiepida (< di 30°C) con una punta di zucchero. Dopo i primi 10 minuti si agita e si amalgama tutto e dopo ancora un po si versa tutto nel fermentatore. Si prosegue con una bella agitata con un mestolo sanitizzato, cercando inoltre di areare il prodotto. Conosco un birraio talmente legato a questo modus operandi, che ancora adesso da 50 mestolate in un senso e 50 in quello opposto, per ossigenare le proprie birre. Il punto focale verte sul problema della pulizia. Purtroppo il mosto non è un ambiente solamente favorevole ai nostri lieviti, anzi! Spesso è utilizzato proprio come mezzo di coltura di una vasta gamma di esseri viventi. Proprio per questo bisogna fare in modo di non andare a contaminare la nostra birra con agenti esterni. E i prodotti sanitizzanti contenuti nel kit spesso non sono sufficienti. Per questo motivo consiglio l’accurato lavaggio in primis con abbondante acqua, magari molto calda, prima e subito dopo l’utilizzo dell’attrezzatura, in particolare i tubi. In questo modo tutti i residui organici vengono prontamente portati via e non si rischiano pericolose incrostazioni, ricettacolo di batteri indesiderati. La sanificazione degli strumenti può esser fatta utilizzando candeggina in una diluizione 1 a 1000, avendo poi l’accortezza di risciacquare abbondantemente con acqua calda il tutto e, per una maggior sicurezza, sciacquando un’ultima volta con dell’acqua in cui si sia precedentemente sciolto un cucchiaino di metabisolfito di potassio, che reagendo, neutralizza la candeggina trasformandosi in un sale inodore e insapore (ottimo metodo inoltre per neutralizzare il cloro dell’acqua di rubinetto).
È necessaria inoltre un’attenta gestione delle bottiglie. Nel caso vengano recuperate bisogna eliminarne ogni incrostazione e successivamente sanificarle come già precedentemente spiegato. Per quelle recuperate da proprie bevute (per esempio una bella serie di spumanti natalizi rifermentati con metodo classico sono un ottima fonte di bottiglie riutilizzabili!) è sufficiente una pronta e abbondante sciacquata subito dopo l’uso per poi, al momento dell’utilizzo, andare a sanitizzare con la candeggina. È inoltre possibile, per piccole quantità, sterilizzare le bottiglie in forno, a patto che siano chiuse fino all’utilizzo. Con questi pochi accorgimenti sarete pronti a produrre la vostra prima indimenticabile birra!