La birra da estratto non luppolato: procedimento
Prima di andare nel dettaglio, partiamo dai fondamentali. La tecnica prevede l’utilizzo di estratti di malto per la base di fermentabili e l’uso di malti in grani per compiere un lavoro di scalpello. Questo è possibile attraverso l’aggiunta di tutto ciò che non è malto base, ovvero malti speciali e malti tostati.
Attrezzatura
Se si passa a questo metodo produttivo provenendo dall’uso di estratti luppolati, servirà poca attrezzatura aggiuntiva. Innanzitutto va benissimo quella stessa pentola (se più grande, tanto meglio): è l’unica che andrà a contatto con la fonte di calore (fiamma o piastre elettriche) dove si svolgono i processi di infusione e bollitura. Per preparare i malti speciali ci sono due vie: se non si prevede di produrre in all grain, basterà ordinare volta per volta i malti speciali già macinati. A patto di conservarli sottovuoto se il pacco non si esaurisce subito, può essere un modo per evitare la spesa del mulino. Se invece l’orizzonte dell’all grain è vicino, è meglio acquistare il mulino direttamente, in modo da macinare solo la quantità che occorre nel giorno della cotta. Per l’infusione, invece, sarà necessario racchiudere i malti speciali in una sacca filtrante. Questa, con il nome di grain bag, si riesce facilmente a reperire sui maggiori negozi online. È fatta da un materiale inerte ed è la stessa che si utilizza per il metodo all grain nella versione BIAB (Brew In A Bag). Per il resto, oltre alle strumentazioni standard già descritte, non occorre altro.
Contributo dei malti speciali
Quello che si richiede a questi malti è, dunque, la funzione di conferire tutta quella parte organolettica desiderata per la ricetta in questione e che invece l’estratto di malto, in quanto insieme di zuccheri fermentabili già pronti per la fermentazione, non è in grado di conferire.
Molti malti speciali, come già descritto nel capitolo relativo alla maltazione, hanno già subito un processo simile all’ammostamento. Se immaginiamo un singolo chicco di cereale come una microscopica pentola contenente acqua (in fondo, all’interno c’è dell’umidità residua), amidi e i suoi stessi enzimi, capiamo bene che quel processo di conversione che avviene alle temperature di essiccazione intorno ai 70°C non è altro che una sorta di ammostamento in miniatura, dove gli amidi vengono convertiti soprattutto in zuccheri poco fermentabili (maltodestrine e destrine) e che sottoposti poi a temperature ancora maggiori, subiscono reazioni di caramellizzazione e reazioni di Maillard. Non tutti, però, perché ogni singola tipologia di malto porta con sè’ un diverso processo che può coinvolgere o meno la singola fase di caramellizzazione. Dato che il processo di infusione di malti speciali salta di fatto la fase di ammostamento, diventa decisiva l’assenza di amidi da convertire e quindi di zuccheri già presenti e convertiti all’interno del chicco. L’eventuale presenza di amidi richiederebbe, invece, il bisogno di ammostarli in un mashing vero e proprio, escludendo quindi la possibilità di usarli in infusione nella tecnica di E+G.
Infusione
Quello che, nella pratica, si fa è scaldare l’acqua e mettere in infusione i malti speciali, dopo aver deciso quale ricetta seguire. Prima ancora di questo, sicuramente bisogna porre attenzione alla molitura dei malti: che siano acquistati già macinati o meno, si richiede semplicemente (come nel processo all grain) che i chicchi vengano spaccati e frantumati in più parti, per permettere all’acqua di entrarvi all’interno e così portare in soluzione il loro contenuto. È bene, quindi, assicurarsi di non ridurre in stato eccessivamente farinoso i chicchi stessi: nonostante si possa guadagnare in contenuto zuccherino e di conseguenza in efficienza, gli effetti sgradevoli di un sapore tannico e “grainy” sono sempre in agguato e possono compromettere sulla qualità finale della birra. Ma oltre questo aspetto, sono due le variabili da tenere sotto controllo per questa infusione: temperatura e tempo.
Tempo
Trattandosi di una semplice infusione, il tempo non è determinante quanto lo è in un vero e proprio processo di ammostamento. Tuttavia, bisogna circoscrivere la durata dell’infusione per evitare sprechi di tempo e di energia. Solitamente sono sufficienti circa 30 minuti per permettere all’acqua di estrarre gli amidi e i pochi zuccheri dei malti speciali e tostati messi in infusione. È inutile andare oltre i 30 minuti, tra l’altro, perchè questi processi di diffusione durante questo intervallo di tempo si possono ritenere conclusi.
Temperatura
Logicamente è comprensibile quanto la temperatura di infusione sia importante per l’estrazione di sostanza, ovvero di zuccheri e di qualche amido. Più alta è la temperatura di infusione, maggiore sarà la resa di questa estrazione a parità di tempo impiegato. Tutto bello e utile, se non fosse per il fatto che qualsiasi sostanza, sottoposta in acqua a temperature elevate e prossime a quella di bollitura, rilascia composti astringenti quali i tannini, che provocano una sgradevole sensazione amara. Per questo motivo è importantissimo non sottoporre i malti speciali a temperature superiori ai 79°C: in molti casi, è sufficiente trovarsi in un range tra 70-75°C per assicurarsi una buona infusione che non veda estrazioni dannose di tannini.
Filtrazione
Al termine di questa fase, si rimuovono i malti speciali (immessi in acqua racchiusi in un’apposita sacca), avendo cura di non strizzarla o spremerla. Questo comporterebbe sicuramente il rilascio di una parte di mosto altrimenti persa, che è quella assorbita dalla sacca stessa e dai malti speciali, ma anche di una serie di composti fenolici contenenti tannini, responsabili di quella sgradevole sensazione amara ed astringente. Per non esagerare in delicatezza e allo stesso tempo per non perdere qualche litro prezioso di mosto, si può tranquillamente tenere in sospensione la sacca al di sopra della pentola, in attesa che il mosto non assorbito dai malti speciali sgoccioli da se’, magari aiutandosi con qualche supporto legato alla sacca e un appoggio.
Bollitura
Dopo aver ottenuto il mosto, il passo successivo è quello di bollirlo. Avendo prodotto un mosto in buona parte attraverso estratto di malto, è bene non sottoporlo a bollitura eccessivamente vigorosa. Questo perché, chiaramente, l’estratto di malto utilizzato è stato prodotto, a sua volta, attraverso una concentrazione per bollitura, dove quindi fenomeni di imbrunimento, reazioni di Maillard e caramellizzazione hanno avuto già un loro considerevole impatto. Il tempo della bollitura minimo è di 60 minuti. Ci si potrebbe spingere anche fino a un massimo di 90 minuti, ma per il motivo detto sopra sarebbe meglio evitare. Contestualmente alla bollitura, avviene ovviamente la luppolatura, attraverso l’aggiunta di luppolo in una o più fasi. Questa fase viene trattata più approfonditamente nel capitolo relativo al metodo all grain.
Varianti
Detto il metodo tradizionale E+G, ci sarebbero una serie di varianti o stratagemmi per accorciare i tempi di produzione, aumentare il livello qualitativo, consumare meno energia oppure per utilizzare attrezzature più piccole e maneggevoli per un ambiente casalingo.
Partial boil
Le dimensioni ridotte delle pentole di cui si dispone o la scarsa potenza dei fornelli a volte possono far lavorare al limite, rendendo quasi necessario scalare una ricetta e così produrre, a parità di tempo impiegato, una quantità minore di birra. Per questo motivo una variante al processo di bollitura completo è quello della bollitura parziale. L’idea consiste nell’utilizzare durante l’infusione meno acqua: questo porta a gestire un volume minore con mosto più denso che poi verrà diluito durante il raffreddamento con l’aggiunta di acqua fredda, che nel contempo velocizza anche l’operazione di raffreddamento (qui l’acqua dovrà essere necessariamente la meno contaminata possibile, per esempio presa da una bottiglia sigillata). In questo modo abbasseremo la densità fino al valore desiderato. Altra soluzione è quella di dividere il mosto raccolto in due fasi: una parte la si trasferisce in una pentola sottoposta a riscaldamento fino alla bollitura, un’altra parte rimane ferma in attesa in un’altra pentola. In questo modo, si fa bollire solo una parte di mosto, accorciando i tempi necessari per portare il mosto dai circa 70°C a 100°C. Al termine di questa fase, si riuniscono nuovamente le due parti di mosto: con il solo contatto, dato che la temperatura si stabilizza in una via di mezzo a non meno di 80°C (certamente questa temperatura dipende dalle quantità dei due mosti), anche il mosto non bollito ha uno shock termico che, in qualche modo, funge per esso da pastorizzazione, assicurandoci quindi un trascurabilissimo livello di contaminazione. I problemi, se così possiamo definirli, vengono da un altro fronte, ovvero quello delle reazioni di Maillard e dell’estrazione di alfa acidi. Riguardo al primo, è chiaro che otterremo un mosto meno caramellizzato, il che non può che farci piacere date le premesse sulla natura degli estratti. D’altro canto, se pensiamo ai malti speciali inseriti, è bene ricordare che alcuni sapori relativi ai malti si ottengono solo attraverso queste reazioni. Si tratta di un dilemma che, in fin dei conti, può essere risolto applicando una variante ancor più fantasiosa, suggerita per la prima volta dal pioniere americano John Palmer (detta Extract Late o, appunto, Palmer Brewing Method). In pratica, si fa un’infusione di soli malti speciali con metà dell’acqua necessaria rispetto al caso di bollitura standard; la si filtra, la si bolle e al termine si aggiunge l’estratto, permettendogli di pastorizzare per una manciata di minuti. Fra le tre diverse bolliture parziali, probabilmente questa è quella che presenta accorgimenti più efficaci ed efficienti.
Partial mash
Le circostanze della ricetta che si sceglie possono imporre anche un altro tipo di scelta. Quando non si ha a disposizione l’estratto di un malto base o malto non caramellato, oppure quando il quantitativo di malti non caramellati è molto piccolo, si può optare per un ammostamento vero e proprio ma solo di una piccola porzione del materiale fermentabile (si parla proprio di mini mash). Infatti, in entrambi i casi, i vantaggi ci sono soprattutto quando questi malti da ammostare sono molto pochi: chiaramente le conseguenze positive sono quelle di poter ridurre i tempi o l’energia impiegata per ammostare, o ancora poter ridurre la capacità delle pentole da utilizzare. Altro caso in cui la tecnica torna utile è quando si vogliono produrre birre di gradazione molto elevata senza andare a pesare sulla capacità delle pentole o sul volume di birra finita che si ottiene, a patto di trovare il malto base in formato di estratto. Certamente, con questo approccio ci si avvicina più ad un metodo all grain, dato che un ammostamento vero e proprio viene svolto, ma per certi versi valgono ancora le considerazioni esposte fin qui e riguardanti la cura delle fasi di bollitura e di filtrazione. Chiaramente, per il resto dei dettagli sull’ammostamento, si rimanda al capitolo sul metodo all grain.