Fare la birra in casa: la sanitizzazione
La sanitizzazione è un tema complesso e dalle mille sfaccettature, su cui spesso gli homebrewer si dividono in quanto a opinioni, certezze e falsi miti. Da un lato c’è chi sceglie l’approccio professionale, replicando fedelmente in casa le procedure applicate dai birrifici; dall’altro c’è chi si affida al sentito dire (del tipo “ho letto in giro”) o alle indicazioni dei rivenditori (spesso, ahimè, lacunose, se non del tutto errate). Il primo approccio è indubbiamente efficace, ma bisogna avere un amico o conoscente che lavora in birrificio in grado di spiegarci per filo e per segno tutti i passaggi da seguire e i prodotti da utilizzare. Il lato critico di questo approccio è che i prodotti usati dai professionisti del settore richiedono particolare attenzione nell’utilizzo e nello stoccaggio poiché in genere sono piuttosto pericolosi. Non a caso in birrificio si seguono (o si dovrebbero seguire, se non lo si fa) protocolli consolidati di sicurezza, cosa che in casa non facciamo quasi mai. Con il secondo approccio, quello del “sentito dire”, si corre invece il rischio di applicare procedure errate se non addirittura controproducenti per poi stupirsi quando arrivano le infezioni. Del tipo: ma io avevo sanitizzato con metabisolfito di potassio! (peccato che il metabisolfito, come il Chemipro Oxi, non siano sanitizzanti efficaci). L’obiettivo di questo capitolo non è trattare tutti i sanitizzanti disponibili in commercio, né di riscrivere un trattato sulla sanificazione; si vuole offrire una panoramica sui principali metodi e sugli strumenti più diffusi e adatti all’utilizzo casalingo, evidenziandone i dosaggi e cercando di evidenziare pro e contro di ciascun metodo.
Cosa significa sanitizzare
Sanitizzare significa ridurre la carica microbica a un livello molto basso, in modo da evitare che microrganismi diversi da quelli che abbiamo scelto di inoculare nel mosto possano prendere il sopravvento durante la fermentazione (o successivamente) e rovinare la birra. Sanitizzare non significa eliminare qualsiasi forma di contaminazione, ma ridurre i potenziali contaminanti a un valore molto basso (tecnicamente il 99.9% dei batteri deve essere reso inattivo dai prodotti dichiarati sanitizzanti). Sanitizzare non significa quindi sterilizzare. La sterilizzazione garantisce l’eliminazione di tutti i microrganismi, sia in forma vegetativa (e quindi pronti ad agire) sia in forma di spore (dormienti). La sanitizzazione riduce la popolazione di tutte le forme vegetative di lieviti e batteri ma non garantisce l’eliminazione di spore e virus. Fortunatamente è il processo stesso di produzione della birra a offrire una adeguata difesa da questi ultimi, ragion per cui è importante sanitizzare ma non c’è bisogno di una disinfezione da sala operatoria quando si produce birra.
Risciacquo o non risciacquo?
Uno dei problemi atavici dei produttori di birra è la necessità di un risciacquo con acqua dopo aver sanitizzato tutta l’attrezzatura. Purtroppo il risciacquo, anche se fatto con acqua potabile, potrebbe essere un’ulteriore fonte di contaminazione. Nelle acque potabili vengono infatti tenuti a bada gli agenti patogeni nocivi per la salute, ma non necessariamente le tipologie di lieviti e batteri che possono contaminare la birra. Acqua potabile non significa acqua sanitizzata, tant’è che molti microrganismi potenzialmente nocivi per la birra proliferano tranquillamente nel nostro intestino, nello stomaco, nella bocca, tra i denti, sulla pelle e via dicendo. Quindi, teoricamente, qualsiasi risciacquo andrebbe fatto con acqua precedentemente bollita e lasciata raffreddare. Va inoltre considerato che i rubinetti sono spesso un buon punto di accumulo per i microrganismi, specialmente nel caso in cui si produca birra in vecchi garage o scantinati. Anche l’acqua confezionata in bottiglia non può considerarsi sanitizzata, ma sicuramente il rischio è minore dato che non passa per i rubinetti di casa. C’è da dire che in quest’ultimo caso il rischio di contaminazione è davvero basso (si utilizza sempre acqua in bottiglia per reidratare i lieviti secchi senza mai riscontrare problemi di contaminazione).
Esistono sanificanti che non vanno risciacquati? Anche qui il discorso è complesso. Nella grande maggioranza i prodotti sanificanti utilizzati in ambito birrario indicano sempre in etichetta la necessità di un risciacquo dopo l’utilizzo (o quantomeno un’asciugatura completa). Questo, immagino, viene fatto per avere tutela legale in quanto è impossibile determinare a priori il residuo di sanificante che andrà a mescolarsi con il mosto o con la birra. Tuttavia, come è noto, è la dose che fa il veleno: il cloro, per esempio, principio attivo alla base dell’azione della candeggina, in dosi molto basse viene utilizzato per tenere a bada la proliferazione di agenti contaminanti nelle acque potabili. A concentrazioni più alte (200 ppm) ha azione sanificante, per arrivare fino alla concentrazione della candeggina (50.000 ppm) che sappiamo tutti essere altamente tossica se bevuta direttamente dal flacone. Tuttavia stiamo sempre parlando del medesimo principio attivo, ovvero il cloro. Stesso discorso vale per gli altri sanitizzanti (peracetico, starsan, iodofori). Molti non risciacquano, per esempio, l’acido peracetico o lo starsan, perché un eventuale residuo disperso in 20 litri di birra ha un livello di diluizione tale da non costituire un pericolo per la salute. Idem per la candeggina diluita, che viene risciacquata più che altro per la paura del cattivo odore. Non è possibile fornire un’indicazione generica sulla necessità di risciacquo, tuttavia cercheremo di dare qualche indicazione nei paragrafi dedicati ai singoli prodotti.
È bene fare un’ulteriore considerazione quando si parla di risciacquo o non risciacquo: il potenziale ossidante. Come vedremo, il meccanismo sanitizzante di alcuni prodotti si basa sull’ossidazione. Se una quantità eccessiva di questi composti finisce nella birra, si corre il rischio di ossidarla con effetti sul colore (scurimento) e sulla componente aromatica, specialmente quella derivante dalla luppolatura che potrebbe scemare in breve tempo. Le reazioni ossidanti che possono avvenire nella birra sono di molti tipi e dipendono da vari fattori, non è questa la sede per un approfondimento specifico. È bene tuttavia sapere che una evidente ossidazione potrebbe dipendere da residui di acido peracetico, candeggina o acqua ossigenata, specialmente in fase di imbottigliamento.
I principali prodotti per la sanificazione
A differenza di molti anni fa, oggi anche i produttori casalinghi possono scegliere tra diversi prodotti sanificanti. Purtroppo spesso i rivenditori utilizzano descrizioni improprie, definendo sanificanti prodotti che non lo sono o che lo sono solo con un effetto molto blando. Difficile anche districarsi tra le diciture presenti in etichetta e sulle schede tecniche, spesso piuttosto complicate da interpretare. L’azione sanificante può essere di diversi tipi e avere effetti più o meno efficaci su differenti tipologie di microrganismi. È quindi importante conoscere il principio attivo in base al quale il prodotto sanificante agisce, le dosi di utilizzo e i tempi necessari per una azione appropriata: l’applicazione di un dosaggio sbagliato o di tempi di contatto non adeguati può rendere completamente inefficace la sanitizzazione.
Acqua ossigenata
L’acqua ossigenata (perossido di idrogeno) viene venduta in farmacia come soluzione diluita al 3% in acqua deionizzata. A questa concentrazione ha una azione sanificante solo se il tempo di contatto con l’attrezzatura è di almeno 10 minuti. Si tratta di una soluzione instabile che a contatto con la materia organica si decompone in acqua e ossigeno, ragion per cui è probabilmente l’unico sanificante utilizzabile nella produzione di birra che non ha bisogno di risciacquo in nessun caso (eventuali residui ancora in forma stabile, una volta venuti a contatto con il mosto, si dissocerebbero in acqua e ossigeno). Visto il suo alto costo non viene molto utilizzata in ambito homebrewing. Qualcuno, impropriamente, la utilizza per filtrare l’aria aspirata da una pompa per acquario in fase di ossigenazione del mosto. Peccato che un passaggio di pochi secondi dell’aria ambientale attraverso l’acqua ossigenata non abbia alcun effetto sanitizzante.
Diluizione | Nessuna diluizione per le soluzioni al 3% vendute in farmacia |
Tempo di contatto | Almeno 10 minuti |
Modalità di impiego | Immergere l’attrezzatura nell’acqua ossigenata |
Materiali | Non corrosiva per i tempi di contatto indicati |
Risciacquo | Non necessario |
Candeggina
Il cloro è uno dei sanitizzanti più efficaci ed economici presenti sul mercato. La sua forte azione ossidante è efficace su un ampio spettro di microrganismi tra cui lieviti e batteri, anche in forma di spore (il livello dell’azione sanificante dipende dalla concentrazione). Viene utilizzato in moltissimi ambiti, da quello medico, alla ristorazione, alla sanitizzazione delle superfici. Viene impiegato spesso nella rete idrica (quindi l’acqua che poi beviamo) per scongiurare le diffusione di microrganismi contaminanti. Il cloro attivo è disponibile in diverse forme: quella più comune ed economica, venduta in tutti i supermercati e ampiamente utilizzata in ambito domestico, è la candeggina (o varechina), che in termini chimici viene definita ipoclorito di sodio (NaOCl). La concentrazione del principio attivo (il cloro) nella candeggina commerciale è in genere del 5%. Questo significa che un litro di candeggina contiene 50 grammi di cloro attivo, ovvero una concentrazione di 50.000 ppm.
Purtroppo la candeggina ha un cattivo odore, anche se utilizzata diluita. Va quindi lasciata evaporare o risciacquata per evitare che il cloro si leghi ai fenoli presenti nel mosto o nella birra formando i temibili clorofenoli dal caratteristico odore di “bordopiscina” (il cloro è il disinfettante più utilizzato per evitare la proliferazione dei batteri nelle piscine). Meglio risciacquare con acqua calda che favorisce l’evaporazione del cloro (attenzione ai vapori che sono tossici in alte concentrazioni). La candeggina pura, alla concentrazione del 5%, macchia istantaneamente i vestiti colorati rimuovendo il colore e lasciando al suo posto delle bellissime macchie rosa. Quindi: occhio.
L’efficacia del cloro attivo dipende dalla concentrazione e dal tempo di contatto. Può anche arrivare alla disinfezione totale (che a noi non serve) in concentrazioni molto alte. Per i nostri scopi è sufficiente una concentrazione di 200 ppm e un tempo di contatto di 10/15 minuti. Per arrivare alle 200 ppm partendo dalle 50.000 della candeggina, occorre diluire 250 volte ovvero utilizzare un quantitativo di 4 ml di candeggina per litro di acqua (sempre fredda o temperatura ambiente, altrimenti il principio attivo evapora).
Il cloro attivo contenuto nelle confezioni di candeggina è abbastanza stabile, ma una volta aperta e con il passare del tempo tende a decadere. È importante tenere la confezione ben chiusa, al riparo dalla luce e in una zona con temperatura inferiore a 35°C.
La candeggina ha un’azione corrosiva sui metalli, incluso l’acciaio inox (sia 304 che 316). In realtà l’effetto corrosivo alla concentrazione di 4 mg/L per tempi di contatto brevi (inferiori a mezz’ora) è praticamente nullo; ma se per errore non venisse risciacquata bene (ad esempio negli angoli di un fermentatore o all’interno di un rubinetto) potrebbe corrodere nel lungo periodo. Per questa ragione si evita di utilizzare la candeggina come sanificante su impianti inox di grande valore, ma si può impiegare su piccola strumentazione come pozzetti, mestoli, piccoli raccordi o piccoli fermentatori, avendo sempre cura di risciacquare molto bene con acqua calda.
Alcuni homebrewer utilizzano l’Amuchina come sanitizzante, che altro non è che candeggina molto costosa. L’Amuchina, oltre al cloro, contiene degli agenti stabilizzanti che ne aumentano la stabilità nel tempo. Questo è obbligatorio quando una sostanza viene venduta appositamente per la disinfezione (come l’Amuchina). Per i nostri impieghi (sanitizzazione) non è indispensabile una concentrazione di cloro ultra stabile, è sufficiente tenere il flacone in buone condizioni e comprarne uno nuovo se non viene utilizzato per molto tempo.
Diluizione | 4 mg/L (partendo da soluzioni al 5%) |
Tempo di contatto | 10/15 minuti |
Modalità di impiego | Diluire con acqua fredda (l’acqua calda fa evaporare il cloro) |
Materiali | Corrosiva sull’acciaio ad alte concentrazioni e lunghi periodi di contatto |
Risciacquo | Sempre, preferibilmente con acqua calda |
Acido peracetico
L’acido peracetico è il sanitizzante più utilizzato dai birrifici per il suo basso costo in relazione all’efficacia dell’azione sanitizzante. Viene prodotto partendo da una miscela di acqua ossigenata e acido acetico. La concentrazione di acido peracetico nelle confezioni commerciali spazia tra il 5% e il 15% (in media è intorno al 10%). Ha un ampio spettro di azione che varia in relazione alla diluizione: nella concentrazione di 500 ppm è efficace contro lieviti e batteri con tempo di applicazione di qualche minuto. Una volta a contatto con l’aria si decompone abbastanza velocemente in acqua ossigenata, acido acetico e ossigeno. È piuttosto pericoloso da maneggiare se non diluito poiché è corrosivo sulla pelle nella forma concentrata oltre che irritante per le vie respiratorie. È anche potenzialmente infiammabile e forma vapori esplosivi se portato sopra i 40°C. Per queste ragioni se ne consiglia l’utilizzo (e lo stoccaggio) unicamente in campo professionale con operatori adeguatamente formati che seguono rigidi protocolli di applicazione e conservazione avendo cura di indossare elementi protettivi come guanti e occhiali. Non è reperibile in piccole confezioni proprio perché è indirizzato al mercato dei produttori professionali. Tuttavia molti homebrewer lo utilizzano anche per le produzioni casalinghe, applicando le dovute precauzioni.
Diluizione | 5 ml/L (ovvero 500 ppm da soluzioni al 10% di acido peracetico) |
Tempo di contatto | 15-20 minuti con acqua a temperatura ambiente (in teoria sarebbero sufficienti anche 5 minuti con 500 ppm, ma è sempre meglio attenersi alle indicazioni riportate dai produttori che per maggiore sicurezza in genere indicano un tempo maggiore). |
Modalità di impiego | Diluire con acqua sotto i 40°C (più è fredda, maggiore il tempo di contatto necessario) |
Materiali | Corrosivo su alluminio e rame |
Risciacquo | Sulle confezioni è sempre indicata la necessità di risciacquo,ma quando impiegato a bassi dosaggi (sotto le 500 ppm) è da molti indicato come sanitizzante senza necessità di risciacquo |
Starsan
Lo Starsan è un prodotto creato dall’azienda americana Five Star Chemicals qualche anno fa. Si è diffuso velocemente in America tra gli homebrewer per la sua efficacia nella sanitizzazione con un tempo di contatto di pochi minuti. In Italia viene venduto con il nome di Starsan HB. Leggendo le modalità di impiego riportate in etichetta sembrerebbe un semplice detergente che deve essere risciacquato dopo l’utilizzo. A detta del fondatore della Five Star Chemicals, invece, lo Starsan è un efficacissimo sanitizzante che agisce in soli 30 secondi e non necessita di risciacquo. Come mai queste discordanze sulla sua natura e sulle modalità di utilizzo? Approfondendo la questione sembrerebbe che l’azienda non abbia ancora ottenuto tutte le autorizzazioni a livello governativo, almeno in Italia, per vendere questo prodotto come sanitizzante. Ciò non significa che lo Starsan HB non sia efficace in tal senso (in America lo Starsan viene venduto da anni come sanitizzante e utilizzato come tale) ma solo che in Europa vige una legislazione differente (e molto probabilmente ci sono anche costi e tassazioni differenti). Charlie Talley, uno dei fondatori dell’azienda che ha inventato lo Starsan, cerca di chiarire questi dubbi in un’intervista che ha rilasciato su The Brewing Network qualche tempo fa. Afferma che “lo Starsan è definibile come un prodotto per risciacquo acido se utilizzato nel dosaggio di 1,5 ml/L. La sua composizione è quella tipica del sapone ed è del tutto simile a un dentifricio con aggiunta di acido fosforico per uso alimentare. Smette di essere efficace quando il pH della soluzione sale oltre 3.5. Quindi se un piccolo quantitativo di soluzione viene diluita nel mosto diventa un normale nutriente per il lievito perché perde completamente l’effetto sanitizzante [nella birra il pH è solitamente superiore 3.5]. Se la soluzione viene preparata con acqua distillata e conservata chiusa (per esempio in una boccetta con diffusore spray) può durare all’infinito.” Per essere efficace, lo Starsan ha un tempo di contatto di 3 minuti (ufficialmente) ma secondo Talley sono sufficienti 30 secondi. Personalmente uso lo Starsan con soddisfazione da diverso tempo seguendo le indicazioni di Talley (quindi senza risciacquare) ma ciascuno può fare la propria scelta in base a quanto scritto sopra. Lo Starsan produce molta schiuma, anch’essa sanitizzante quando entra a contatto con le superfici. Sempre secondo quanto dice il fondatore della Five Star, la schiuma residua non è in alcun modo tossica né deleteria per il lavoro del lievito (la concentrazione del principio attivo è bassissima e il pH troppo alto una volta diluito nella birra). Se non vi fidate, esiste un altro prodotto della Five Star Chemicals del tutto simile allo Star San ma che non produce schiuma: si chiama Saniclean.
Diluizione | 1,5 mg/L |
Tempo di contatto | 1 minuto |
Modalità di impiego | Diluire con acqua fredda |
Materiali | Può essere utilizzato su tutti i materiali ma non deve essere lasciato a contatto con rame e alluminio per più di qualche ora |
Risciacquo | Stando a quanto riportato sulle confezioni americane, non va risciacquato ma lasciato asciugare. Il fondatore dell’azienda che lo produce dichiara che non è necessario il risciacquo nè bisogna attendere che asciughi. Sulle confezioni vendute in Italia viene indicata la necessità di risciacquo. A voi la scelta. |
Iodofori
Lo iodio è un ottimo disinfettante, ma se usato nella forma pura macchia irreparabilmente qualsiasi materiale ed è irritante per la pelle e per gli occhi (oltre che tossico se ingerito). Le soluzioni utilizzate per la sanitizzazione sono addizionate di polimeri che si legano allo iodio (soluzioni complessate dette iodofori). Questo riduce la quantità di iodio necessaria per la sanitizzazione rendendolo adatto per essere impiegato anche nell’industria alimentare (bassa concentrazione = bassa tossicità). L’immersione per 10 minuti in una soluzione di iodofori sciolti in acqua fredda con una concentrazione di iodio pari a 12,5 ppm uccide la maggior parte dei microrganismi presenti sull’attrezzatura. Una soluzione di iodofori e acqua chiusa in una bottiglia non rimane stabile molto a lungo, quindi è meglio preparare la quantità di soluzione adeguata per l’utilizzo immediato. Un prodotto commerciale abbastanza economico a base di iodio è lo Iodophor, ma non è molto diffuso tra i rivenditori di materiali per homebrewing in Italia. Attenzione: la tintura di iodio comunemente venduta in farmacia non è uno iodoforo, ma una soluzione alcolica di iodio utilizzata come disinfettante non adatta alla sanificazione in campo alimentare. Uno iodoforo venduto in farmacia è invece il Betadine che contiene Povidone (PVP) come elemento complessante (una soluzione al di 10% PVP ha l’1% di iodio disponibile)
Diluizione | Iodophor: 0,8 ml/L Betadine (al 10% PVP): 1,6 ml/L |
Tempo di contatto | 2 minuti |
Modalità di impiego | Diluire con acqua fredda o tiepida (<30°C) |
Materiali | Può essere utilizzato su tutti i materiali ma è sconsigliato su alluminio, rame e ottone. |
Risciacquo | Se utilizzato nella diluizione indicata (12,5 ppm) non è necessario il risciacquo ma è meglio lasciarlo asciugare. |
Calore
Spesso siamo portati a pensare che il calore sia un metodo efficace di sanitizzazione anche se applicato per brevi intervalli temporali. Purtroppo il calore, specialmente quello secco (ad esempio il forno di casa), richiede tempi di contatto e temperature piuttosto elevate per essere davvero efficace. Il calore umido (vapore) è invece più efficace del calore secco e richiede tempi di contatto minori. Basti pensare alla differenza nella percezione del calore quando si infila una mano nel forno a 100°C rispetto al vapore rilasciato da una pentola con acqua che bolle: l’umidità favorisce la propagazione e rende l’azione del calore molto più penetrante. Il calore secco (in casa corrisponde principalmente ad utilizzare il forno) richiede tempi di contatto abbastanza lunghi. In letteratura si parla sempre di tempi di sterilizzazione, quindi teoricamente per una sanitizzazione potrebbero venire ridotti. Tuttavia, non essendo ben nota l’entità di questa riduzione, si tende a rispettare i tempi di sterilizzazione che sono fortemente dipendenti dalla temperatura applicata. Il conteggio del tempo di contatto parte da quando l’oggetto da sterilizzare raggiunge effettivamente la temperatura indicata.
Calore secco (forno):
60 minuti a 170°C
120 minuti a 160°C
150 minuti a 150°C
180 minuti a 140°C
La sanitizzazione tramite vapore è molto più complessa da gestire poiché la sua efficacia dipende dalla temperatura del vapore e dalla pressione. Il metodo più efficace per sterilizzare tramite calore umido è l’autoclave (o pentola a pressione). Impostando la giusta pressione si porta la temperatura interna nell’autoclave a 121°C: mantenendo queste condizioni per 30 minuti si elimina qualsiasi forma di microgranismo, anche le spore. Applicare semplicemente vapore (per esempio utilizzando una vaporella) non è una soluzione particolarmente efficace poiché alla pressione atmosferica il vapore perde velocemente temperatura (nell’autoclave viene invece mantenuta una pressione stabile). Quando si usa vapore a pressione atmosferica (es. vaporella) è difficile stabilire a priori i giusti tempi di contatto che spesso vengono ridotti dall’homebrewer a una manciata di secondi rendendo l’applicazione del vapore di fatto completamente inefficace.
Il calore sotto forma di fiamma, che richiede pochi secondi di applicazione per essere efficace, viene raramente utilizzato nella produzione casalinga di birra poiché poco pratico. Può essere utile per rendere sterili piccoli strumenti di lavoro (come pinzette) quando si lavora con la propagazione del lievito dove la sterilità delle superfici che vengono a contatto con le cellule di lievito riveste una importanza fondamentale per la propagazione stessa.
Tempo di contatto | Calore secco (forno): 60 minuti a 170°C 120 minuti a 160°C 150 minuti a 150°C 180 minuti a 140°C Vapore (autoclave o pentola a pressione): |
Materiali | Qualsiasi materiale resistente alle alte temperature |
Alcol
Gli alcoli hanno un ottimo potere disinfettante e un ampio spettro di azione su diverse tipologie di agenti contaminanti. I più utilizzati per la sanificazione/disinfezione sono l’etanolo (alcol etilico), l’isopropanolo (alcol isopropilico) e il metanolo (alcol metilico). Il primo, l’alcol etilico, in forma diluita non è ovviamente nocivo per la salute (è contenuto in tutte le bevande alcoliche che sorseggiamo normalmente) mentre propanolo e metanolo sono tossici se ingeriti e inalati (il metanolo è più tossico del propanolo). Questo significa che l’alcol etilico (nella sua forma non denaturata, e quindi più costosa perché fortemente tassata) è teoricamente l’unico indicato come sanitizzante se non si vuole risciacquare. L’azione disinfettante dell’alcol avviene tramite denaturazione delle proteine delle pareti cellulari con conseguente lisi (rottura) delle cellule. Contrariamente a quanto si possa pensare, l’azione germicida dell’alcol è molto più efficace quando viene diluito in acqua fino alla concentrazione del 70%: la presenza in soluzione di una piccola parte di acqua favorisce la penetrazione dell’alcol all’interno delle cellule. Non elimina le spore, ma nel nostro caso questo aspetto non è rilevante. Il tempo di contatto dipende dal prodotto utilizzato e dalla concentrazione dell’alcol in soluzione: a una concentrazione del 70% l’azione sanitizzante è già efficace con un tempo di contatto inferiore ai 5 minuti. La diluizione dell’etanolo in acqua rallenta anche il tasso di evaporazione dell’alcol e quindi aumenta l’efficacia sanitizzante. L’alcol etilico viene raramente utilizzato per la sanitizzazione dell’attrezzatura di produzione per via del suo alto costo rispetto ad altri sanitizzanti. Inoltre, trattandosi di un liquido altamente infiammabile, deve essere gestito con particolare attenzione. Può essere impiegato (leggermente diluito) per riempire il gorgogliatore in quanto la soluzione acqua/alcol ha una azione germicida durevole nel tempo. Contrariamente a quanto si possa pensare, superalcolici come vodka, whisky o grappa non hanno un’azione sanitizzante immediata per via della bassa concentrazione di alcol (in genere si arriva massimo al 40%). Possono essere utilizzati invece come liquido per riempire il gorgogliatore in quanto la loro stabilità nel tempo inibisce la proliferazione di microbi all’interno del gorgogliatore stesso.
Diluizione | Soluzione 70% alcol e 30% acqua |
Tempo di contatto | <5 minuti |
Modalità di impiego | Diluire con acqua fredda |
Materiali | Il breve tempo di contatto richiesto rende gli alcoli utilizzabili sia su acciaio inox che plastica |
Risciacquo | L’alcol etilico non necessita di risciacquo perché molto volatile e non tossico. L’alcol isopropilico e il metilenico sono tossici (il secondo di più) ed è quindi preferibile non utilizzarli su strumentazione che andrà a contatto diretto con il mosto o con la birra |
Lavastoviglie
Difficile fare un discorso generico sull’efficacia sanitizzante della lavastoviglie, poiché ogni apparecchio ha diversi cicli di lavaggio programmabili che lavorano a temperature diverse. Tuttavia, la maggior parte delle lavastoviglie hanno un ciclo che lavora intorno ai 70°C, temperatura che garantisce una buona sanitizzazione grazie al vapore che circola all’interno del cestello per un significativo periodo di tempo. Per una azione efficace è fondamentale che le bottiglie siano perfettamente pulite e posizionate a testa in giù per facilitare la circolazione del vapore all’interno (il caldo umido è molto più efficace nell’attività sanitizzante). Non impiegare alcun detergente o brillantante. A queste temperature l’efficacia sanitizzante non è al massimo e soprattutto dipende molto dalla tipologia e dai tempi di lavaggio. A ogni modo è generalmente adeguata per evitare contaminazioni in fase di imbottigliamento, quando la birra ha ormai raggiunto un buon livello di protezione dalle infezioni grazie alla scarsa concentrazione di zuccheri residui, al basso pH e all’alcol presente in soluzione. Per bottiglie usate, recuperate magari dal magazzino di bar o ristoranti, è opportuno applicare una sanitizzazione più aggressiva (dopo una opportuna pulizia), ad esempio utilizzando la candeggina diluita in acqua con tempo di contatto adeguato.
Attenzione ai falsi miti
Purtroppo ancora oggi circolano in rete informazioni errate sui prodotti sanitizzanti. In particolare, molti rivenditori continuano a proporre il metabisolfito di potassio nei kit come prodotto sanitizzante. Il metabisolfito, se sciolto in soluzione, ha una azione antifermentativa e antiossidante, ovvero blocca la fermentazione da parte dei lieviti e previene l’ossidazione. Tuttavia, non è particolarmente efficace nell’uccidere lieviti né tantomeno i batteri, quindi ne sconsiglio vivamente l’utilizzo come sanitizzante. Grazie alla sua azione antiossidante, può essere impiegato con successo per risciacquare la candeggina o altri prodotti sanificanti ad azione ossidante (annulla l’effetto ossidativo di eventuali residui rimasti dopo la sanitizzazione e neutralizza il cloro).
Un altro prodotto che spesso viene utilizzato impropriamente come sanitizzante è il Chemipro Oxi. Si tratta in realtà di un ottimo detergente, molto utile per rimuovere residui organici dall’attrezzatura. Per questa ragione, può essere impiegato con successo per pulire fermentatori e damigiane dopo la fermentazione (nella dose di 6-8 g/L con acqua molto calda). Pur avendo una blanda azione sanitizzante, non è particolarmente efficace invece per eliminare lieviti e batteri. Meglio utilizzare prodotti specifici.