Come cambia il gusto della birra al variare della temperatura?

Torniamo a parlare del vasto tema riguardante le modalità di servizio della birra, e a indagare, in particolare, gli aspetti concernenti le temperature di mescita. Se abbiamo già detto dei principali effetti prodotti dalle oscillazioni termiche sulle capacità di una pinta di manifestare il proprio potenziale olfattivo, con questo articolo passiamo a considerare come le fluttuazioni del termometro influenzino invece, nell’esperienza di un sorseggio, le sensazioni palatali (ovvero tattili) e quelle precipuamente gustative.
Iniziamo con le espressioni cioè che riguardano l’esperienza circoscritta ai cosiddetti gusti fondamentali: dolce, acido, sapido, amaro e umami. Ebbene, in linea generale occorre rilevare anzitutto come il cavo orale e il suo apparato facciano registrare, nel meccanismo di riconoscimento gustativo, prestazioni di massima efficacia quando la bevanda in esame presenti valori tra i 30 e i 35 °C; mentre a latitudini più elevate gli stimoli tendono ad affievolirsi, in particolare oltre la soglia dei 50 °C. Ma entrambe queste evenienze – è evidente constatarlo (a meno di circostanze del tutto particolari, quali quelle relative all’assaggio di prodotti speciali da assumersi caldi, ad esempio le Glühbier) – esulano dalla normale esperienza di consumo. Meno infrequente è invece imbattersi in incontri ravvicinati con pinte nei confronti delle quali si sia ecceduto nell’avvalersi del frigorifero; il che rappresenta parimenti un rischio: anche procedendo verso il basso e muovendosi in prossimità degli zero gradi, infatti, le captazioni sensoriali relative al gusto si rivelano progressivamente appiattite, fino sostanzialmente ad annullarsi.
Ponendo, come ipotesi di lavoro, quella di muoverci entro un intervallo ragionevole in ordine alle istanze di un’equilibrata espressione sensoriale – il che ci porta tra un minimo di 6 e un massimo di 16/18 gradi – potremo prendere nota di come i singoli gusti-base manifestino comportamenti peculiari l’uno rispetto all’altro. Per l’esattezza, le sensazioni di matrice dolce (legate ad esempio a zuccheri residui e alcol, ben presenti in tipologie quali i Barleywine) propendono ad accentuarsi, in fase percettiva, con l’aumento delle temperature di consumo. Al contrario, la diminuzione di queste ultime contribuisce a sottolineare la sollecitazione esercitate dalle componenti acide e amare (cardine rispettivamente di aree quali quelle delle Sour Beer e degli stili a dominante luppolata). Un medesimo rapporto di proporzionalità inversa interessa sia le componenti sapide sia (seppur in modo meno vigoroso) quelle riconducibili al timbro umami.
Volgiamo ora l’attenzione verso le ricadute prodotte dal variare delle temperature di mescita sul meccanismo di captazione ed elaborazione delle informazioni organolettiche definite come palatali. Un insieme di connotazioni piuttosto ampio, comprendente (nella trattazione dell’argomento adottata in ambito di assaggio birrario) percezioni di tipo sia tattile sia trigeminale. Un perimetro esperienziale, insomma, decisamente esteso, entro il quale concentreremo lo sguardo su alcuni parametri salienti e più ricorrenti: effervescenza, corpo, polverosità, astringenza, metallico, calore, pungenza, piccantezza.
Partiamo dalle bollicine: minore è la temperatura, maggiore la capacità della CO2 di permanere in equilibrio nel liquido di soluzione e, quindi, di farsi avvertire senza l’aggressività e la pungenza che si configurano quando il gas (sotto l’effetto dei gradi centigradi in ascesa) tende a rompere quelle condizioni di stabilità, sotto l’impeto a evadere nelle propria forma libera.
Quanto al corpo, dipendendo sostanzialmente da frazioni del sistema-birra (quali proteine, betaglucani, zuccheri non fermentabili, glicerina, polifenoli) che sono inclini ad addensarsi proporzionalmente al calare della colonnina di mercurio, possiamo dire che si tratta di un parametro propenso a crescere in tale circostanza e a diminuire (dando impressioni di maggiore fluidità) in caso di aumento delle temperature di servizio.
Anche astringenza e polverosità (quest’ultima sorta di precursore della prima e avvertita come qualcosa di assimilabile a ciò che la bocca prova al contatto con la crusca di cereali) rappresentano valori la cui percezione sale e decresce in modo inversamente proporzionale alle oscillazioni del termometro.
In modo opposto (per ragioni legate al meccanismo in base al quale il freddo determina un’inferiore suscettibilità dei recettori) si comportano invece le categorie del metallico (tipica di brassaggi con acque ricche di ioni ferro), del calore (caratteristica di prodotti a elevata gradazione alcolica), della pungenza (la prerogativa di uno slancio etilico aggressivo, irritante), della piccantezza (associata a ricette in cui si faccia uso di ingredienti quali il peperoncino): tutte sensazioni, quindi, tendenzialmente più incisive con salire della temperatura e meno energiche con il suo calare.