Winter Warmer: le birre invernali britanniche
Come diverse altre formule di classificazione birraria anche la categoria brassicola delle Winter Warmer è entrata nell’uso comune, e ne è parte a pieno titolo, pur non poggiando su una definizione precisamente delimitata da specifici paletti né, per conseguenza, su una effettiva consacrazione istituzionale di tale denominazione. Ma quel che conta, come si è detto più volte, al di là dei riscontri di anagrafe ufficiale è la forza evocativa di una designazione: la sua capacità, all’atto pratico, di farsi percepire senza sostanziali equivoci. Espressione di matrice linguistica anglosassone, e in ciò fedele specchio dell’appartenenza alle tradizioni stilistiche della Gran Bretagna, la qualifica di Winter Warmer non costituisce una vera e propria tipologia, ma più correttamente una determinazione consuetudinaria: quella riferita alla preparazione di ricette caratterizzate da lineamenti gustolfattivi i quali, nell’insieme, si presentino come particolarmente adatti al consumo nel corso dei mesi più freddi dell’anno. In sintesi, stiamo parlando di specialità stagionali contrassegnate da una costruzione intonata al compito di riscaldare il palato, di offrire una sorsata corroborante, durante le giornate d’autunno e d’inverno.
Ora, un punto saliente, nella nostra piccola indagine sulla natura delle Winter Warmer, si configura nel momento in cui ci si ponga la domanda (doverosa) circa il modo in cui una birra collocata entro quel perimetro porti a termine il proprio compito statutario. Infatti, se la prima risposta punta sulla capacità di mettere in campo gradazioni di un certo piglio, occorre tuttavia filtrare tale assunto alla luce di come ci si trovi, idealmente, in un quadrante geografico quale quello del Regno Unito. Qui, il complesso degli usi e costumi, in tema di pinte, è fortemente contrassegnato dal valore socializzante assegnato alla bevuta; e dunque da un’inclinazione anche verso le taglie alcoliche basse o molto basse. In surroga a stazze etiliche effettivamente bollenti, la funzione di comunicare calore può essere affidata ad altri fattori, di termicità diciamo più metaforica: colorazioni decise, dall’ambrato intenso al bruno); sensazioni aromatiche e gustative di rotondità e morbidezza (caramello, biscotto, panificato dolce a medio-lunga cottura, frutta secca tostata, frutta matura e disidratata); contributi sensoriali di ingredienti (spezie ad esempio) riferibili a pietanze o dei dolci della tradizione invernale, capaci di far scattare un’associazione emozionale con i menù di stagione. Date tali premesse, nell’alveo delle Winter Warmer troviamo a buon diritto rappresentate almeno cinque classi tipologiche del repertorio battente bandiera britannica: British Strong Ales, Old Ales, Barley Wines, Scottish Export e Scottish Wee Heavy (o Scotch Strong Ales).
British Strong Ale. Colore da dorato a bruno rosseggiante; aroma maltato (caramello e frutta secca), esteri fermentativi (frutta matura e disidratata); in secondo piano, apporti del luppolo di entità variabile ma di timbro classico (floreali e terrosi); gusto rotondo (fino ad amabile), con amaricature bilancianti (Ibu da 30 a 60); corpo pieno; alcol tra il 5,5 e l’8%). Riferimenti significativi: Fuller’s 1845, Shepherd Neame 1698; Samuel Smith’s Winter Welcome, Young’s Winter Warmer.
Old Ale. Colore da ambrato a bruno; aromi complessi: maltato (frutta secca, panificato dolce a lunga cottura, caramello, melassa), fruttato (fichi, prugne), eventualmente etilico (gradazione tra 5.5 e 9%), nonché ossidativo con punte sour (lattiche e brettate, ad esempio); gusto caratterizzato da una luppolatura presente (da 30 a 60 le Ibu), più o meno pungente, dotata comunque di potere equilibrante. Tra le referenze in stile: Strong Suffolk di Greene King; Yorkshire Stingo di Samuel Smith; St. Peter’s Winter Ale.
Barleywine. Colore da dorato-ambrato a bruno; profumi articolati di timbro maltato (frutta secca, panificato dolce a lunga cottura, caramello, mou), luppolati (florale, terroso, confettura d’agrumi), fruttato-disidratati (fichi, prugne, ciliegie) e liquoroso-ossidativi tipici dello Sherry e del Porto (l’alcol va dall’8 al 12%); gusto coerente rispetto alla tessitura olfattiva (da abboccato a dolce), con amaricature da luppolo (35-70 le Ibu) avvertibili in misura anche energica. Esempi in stile: Old Tom di Robinsons; Thomas Hardy’s Ale, Ridgeway Insanely Bad Elf.
Scottish Export. Colore dal rame al bruno scuro; aromi maltato-caramellati (con lievi tocchi di latteo da butterscotch) e moderatamente fruttati (mela), esenti (stando alla tradizione) da note torrefatte o men che meno torbate; gusto in continuità con il naso, di struttura morbida e di amaricatura marginale (Ibu tra 13 e 22) in funzione bilanciante; gradazione tra il 3.9 e 6%. Tra le referenze in commercio: Belhaven Scottish Ale; Orkney Dark Island.
Wee Heavy o Strong Scotch Ales. Colore da ramato chiaro a bruno scuro; aroma maltato e caramellato (frutta secca, panificato dolce a lunga cottura, mou, butterscotch), con possibili vagheggiamenti affumicati ma nessuna deroga (sempre secondo la tradizione) per le torbature; assetto gustativo speculare (da abboccato a dolce) con luppolatura equilibrante (Ibu tra 17 e 35); alcol generoso (tra il 6.5 e il 10%). Esempi in stile: Belhaven Wee Heavy; Skull Splitter di Orkney Brewery.