Pilsner: storia e caratteristiche
Stiamo parlando della birra per antonomasia, il cui avvento ha letteralmente rivoluzionato il mondo brassicolo. Partiamo dal nome. Pilsen è la versione tedesca del toponimo Plzen, città della Boemia (oggi Repubblica Ceca), dove questo stile della famiglia Lager vide la luce nel 1842. Accanto, e in alternativa, a tale denominazione ne troviamo correntemente altre due: Pils (la sua abbreviazione) e Pilsner (il genitivo di Pilsen). Quanto al mito fondativo dello stile, eccone una sintesi. A Plzen, ancora nella prima metà dell’Ottocento, la licenza di brassare era detenuta da circa 250 famiglie titolari (tra locali e germanofone), che esercitavano questo loro diritto utilizzando non strutture proprie, ma un impianto comunale. Un gruppo di produttori molto coeso come categoria che, in quei decenni, si trovava ad affrontare una fase fortemente critica: la loro birra – ad alta fermentazione (Oberhefenbier) – era spesso compromessa da contaminazioni batteriche e molto instabile. Inoltre era messa alle corde dalle coeve concorrenti tedesche, meno costose e (in quanto brassate a bassa fermentazione, con presidi tecnologici già significativi) più pulita sotto il profilo organolettico, nonché più stabile. La tensione salì a tal punto tale da esplodere in un gesto clamoroso: nel 1838, un comitato di consumatori e di publican si riunì nella piazza centrale, rovesciando 36 barili di fronte al Municipio. Ebbene, di fronte a una protesta tanto eclatante, gli esponenti della corporazione birraria decisero – con buon senso e spirito imprenditoriale – di rilanciare, elaborando il progetto della costruzione di un nuovo e moderno impianto. Così fu: tra il 1839 al 1842 lo stabilimento fu ultimato, e a dirigere la sala cottura fu chiamato, nel 1842, un “braumeister” bavarese, Josef Groll, appena 28enne ma forte dell’esperienza maturata a fianco del padre (egli stesso produttore), che aveva a lungo testato e approfondito la tecnica Lager. Le cronache collocano la sua prima cotta in corrispondenza di una data precisa, il 5 ottobre del 1842, e l’assaggio inaugurale avverrà l’11 novembre, in occasione della festività di San Martino.
Come sappiamo, si rivelerà un successo clamoroso, grazie alla presenza di un mix di svariate armi vincenti, dovute in parte a scelte consapevoli, in parte a fortunate concomitanze. Ovvio, Groll, avendo ben chiaro il compito primario di stabilizzare il prodotto, applicò sia il metodo della bassa fermentazione, sia una ricetta caratterizzata da un massiccio impiego di luppolo. Non è però certo se avesse presente quanto armonicamente l’elevato tenore amaricante della sua Pilsener avrebbe interagito con le caratteristiche dell’acqua locale, particolarmente scarsa nel contenuto di sali minerali. Di sicuro Groll scelse con cognizione di utilizzare malti all’inglese, assai più chiari del consueto, resi disponibili dal diffondersi dell’innovativo sistema dell’essiccazione del cereale in forni a getto d’aria (anziché a fiamma diretta), tecnologia applicata e affinata in Inghilterra già a partire dal 1642 e che conferì alla birra un accattivante colore dorato, così sorprendente e affascinante per il pubblico di allora. D’altra parte, però, è quasi sicuro che il tedesco non avesse previsto con assoluta precisione l’effetto di altri tre elementi: la bassa quantità di proteine (che tendono a intorbidare la birra) contenute nell’orzo coltivato nel circondario di Pilsen; l’ulteriore effetto chiarificante della cospicua dose di luppolo conferita in bollitura; e la già citata bassa quantità, nell’acqua della zona, di calcare (componente la cui presenza favorisce il trasferimento del colore dal malto al mosto).
La combinazione di questi ingredienti e scelte produttive dette luogo a un risultato esplosivo: l’inedita veste cromatica – chiara e cristallina, quando invece la norma precedente era rossiccia e velata – riscosse un successo immediato. E, ciliegina sulla torta, il luppolo locale gettato in dosi generose, oltre a conferire amaro al gusto di quella birra, donarono anche – grazie agli aromi pregiati della varietà utilizzata, il fine Saaz (ancor oggi uno dei punti di riferimento tra i luppoli nobili) – un profumo seducente. A Plzen non se ne resero conto, ma in quell’autunno del 1842 era nata la futura dominatrice del mondo birrario, e già nel 1871 la Pilsner veniva esportata negli Stati Uniti; ed entro la fine del secolo avrebbe raggiunto l’Africa, il Medio Oriente e l’America Latina, segnando un solco indelebile nell’evoluzione del concetto stesso di birra. Oggi i parametri della tipologia fissano un grado alcolico tra 4.4% e 5.2%; un colore tra paglierino e dorato tenue; aromi fini e bilanciati tra malto (cereale fresco, panificato chiaro) e luppolo (fiori, erbaceo); una evoluzione di partenza neutro-morbida e di bella progressione amaricante (le Ibu sono tra 20 e 30).