Belgian Blond Ale: storia e caratteristiche
Il capitolo delle Belgian Blond Ale è, nel percorrere la geografia degli stili, uno tra quelli che più meritano di essere letti con attenzione. Il rischio, infatti (e specialmente da parte di chi un po’ mastichi di classificazione e tipologie), è quello di lanciargli uno sguardo distratto, nella convinzione, di certo in buona fede, che più o meno si sappia ciò di cui si sta parlando. Perché – insomma, senza farla tanto difficile – le categorie brassicole, nel territorio tra Fiandra e Vallonia, sono quelle lì (Blanche, Saison, Lambic, Trappiste e compagnia): ampio spazio ai lieviti, contenuti margini di manovra per il luppolo, facoltativo ricorso (avallato dalla tradizione) a speziature in aggiunta diretta. A distinguere le sottoripartizioni, interne a ogni singola denominazione, sono poi differenze di valori riguardanti il colore e il grado alcolico. Così, sistemata la questione in modo non del tutto erroneo ma, come vedremo, approssimativo, si passa ad altro; non cogliendo in realtà un punto che, per gli appassionati della catalogazione e delle etichette di genere deve risultare fondamentale. In effetti l’attuale significato della dicitura Belgian Blond Ale si rivela, nell’approccio che verso di essa hanno i principali repertori di tassonomia birraria, tutt’altro che omogeneo; e perciò, tra i vari punti di vista, è opportuno effettuare uno sforzo di comparazione, per chiarire con una certa precisione un perimetro organolettico i cui contorni sono destinati, altrimenti, a restare in parte sfumati.
Quel buco nel Bjcp
Per propria formazione chi scrive tende a far (non sempre, ma spesso) riferimento in primis ai testi del Bjcp, il Beer judge certification program. I quali assegnano la designazione di Belgian Blond Ale a prodotti di colore dal dorato chiaro all’ambrato leggero; gradazione tra i 6 e i 7.5 punti percentuali; luppolatura – in amaro come in aroma – non oltre valori di livello medio; tendenza olfattiva orientata ai (pur dosati) temi di frutta e spezie, derivanti dalle fermentazioni; indirizzo gustativo improntato alle morbidezze dei malti. Un esempio rappresentativo del recinto al quale si allude? La Blonde della scuderia La Trappe, marchio commerciale facente capo, come ben noto, ai trappisti olandesi di Koningshoeven. Fin qui tutto liscio. Ma una domanda s’impone veloce e spontanea? E al di fuori di quello steccato etilico? Se al di sopra troviamo il binomio Belgian Golden Strong Ale e Tripel, al di sotto invece, il Bjcp riporta solo la casella delle Belgian Pale Ale (4.8-5.5% vol.): le quali, però, si collocano su tonalità cromatiche come minimo di un ambrato pieno, per scalare in alto fino al ramato (e comunque con un profilo non certo di taglio hoppy). Ergo, in questa inventariazione una birra quale ad esempio la Taras Boulba firmata dalla Brasserie De La Senne – leggera (4.5% vol.), paglierina e ben luppolata (peraltro popolare e apprezzata da noi), stenta, ed è un eufemismo, a trovare una collocazione appropriata.
Le ragioni degli altri
Parafrasando Pirandello, bisogna dunque, pur tenendo conto del Bjcp, mettersi in ascolto delle ragioni degli altri: dove per altri s’intende, chiaramente, gli autori di elenchi tipologici alternativi a quello del Certification Program. Il più conosciuto dei quali è probabilmente quello, esso stesso battente la bandiera statunitense, della Brewers Association. Sotto questa parrocchia la qualifica di Belgian Blond Ale spetta a referenze di colore sempre tra il dorato chiaro e l’ambrato non ancor pieno (il ventaglio, in termini di gradi SRM è identico a quello del Bjcp); di gradazione che si spinge, in alto, non oltre quota 7 (al di sopra della quale abbiamo Belgian Pale Strong Ale e Tripel) e, in basso, fino ai 5; contrassegnata da un ruolo del luppolo, in aroma e in amaro, contenuto entro livelli d’intensità medio-leggeri. Di nuovo, a latitudini etiliche inferiori troviamo, sì, un riquadro identificato, quello delle Belgian Pale Ale (4.1-6.3% vol. l’intervallo); ma, di nuovo, il colore non scende al di sotto di un confine tra il dorato molto carico e l’ambrato di primo ingresso; e, di nuovo ancora, le sensazioni di matrice luppolata vengono indicate come note a basso volume (per quanto percettibili). Eh no, c’è ancora qualcosa che non quadra. E continua, a non quadrare, anche sfogliando le pagine del più giovane tra i censimenti ufficiali, il compendio dei Beer Styles pubblicato dalla Ebcu, la European beer consumers union: anche qui troviamo la ricorrente accoppiata Belgian Blond (5.5-7.0% vol.) e Belgian Pale (4.8-5.5% vol.), entrambe dipinte come tipologie poco caratterizzate dai verdi coni.
Le classificazioni ufficiose
Ebbene, nella nostra indagine, interessante si rivela lo sguardo dei repertori non ufficiali: in particolare da due ben noti portali di quotazione birraria, Beer Advocate e Ratebeer. Quest’ultimo, infatti, nel definire la propria sezione delle Belgian Blond o Belgian Golden Ale, se da un lato, sul piano delle taglie alcoliche, non di discosta sostanzialmente dall’ottica del Bjcp (parlando di gradazioni affini a quelle delle Dubbel), d’altra parte, quanto alla caratterizzazione generale, la paragona a quella delle Belgian Strong Ale, occhieggiando in particolare (seppure non con le medesime vigorie) alla spinta luppolata: tanto che in questa categoria – Belgian Blond o Golden, appunto – inserisce sia la sempre accattivante XX Bitter di casa de Ranke; sia (e ciò in deroga a quanto dichiarato a proposito di stazze etiliche) la stessa Taras Boulba dalla quale siamo partiti nella nostra argomentazione critica. Argomentazione il cui cerchio è chiuso idealmente da Beer Advocate con una definizione di Belgian Pale che, sebbene non calchi la mano in fatto di hoppyness (limitandosi a parlare di apporti delicati a fine corsa gustativa), apre a un deciso ecumenismo alcolico (4.5-7 la finestra) e cromatico (con variazioni che vanno dal paglierino scarico a registri ambrati).
La fisionomia e la genesi dello stile
Ecco, per riassumere, il nostro pensiero è quello di chi ritiene opportuno – nel rivolgersi al consumatore e all’appassionato senza presunzione, ma con onestà intellettuale – operare una composizione delle diverse posizioni riscontrabili in materia di Belgian Blond Ale. Una composizione tale da allargare i confini tanto delle gradazioni (come visto poc’anzi), quanto dell’incidenza da parte del luppolo; pur ancorando la natura e l’impiego dei coni a esiti non platealmente nuovomondisti; e pur considerando fondante un ruolo dei lieviti da cui discendano dosate connotazioni di timbro fruttato e speziato. Una composizione che, per chiudere, non risulta complicata in ordine alle ipotizzate origini dello stile: tutti gli osservatori più accreditati (e quindi le varie guide alle tipologie birrarie) concordano nel ritenere che la comparsa delle Belgian Blond Ale sia da interpretare come una risposta, da parte dei marchi brassicoli belgi (in particolare del segmento industriale), alle sollecitazioni provenienti da un mercato incline, nel Novecento (specie dalla seconda guerra mondiale in poi), a prediligere connotati sensoriali tendenti ai fondamentali delle Pils.
Belgian Blond Ale: l’identikit
Colore: dal paglierino all’ambrato scarico
Gradi alcolici: da 4 a 7
Aroma: panificato a breve cottura; fruttato (soprattutto a pasta bianca); lievi speziature (chiodo di garofano, pepe, vaniglia); note luppolate prevalentemente classiche (erbacee e floreali), con controllate incursioni di varietà americane (agrumi, frutta esotica, resine).
Corpo: da leggero a medio-robusto
Gusto: bilanciato tra morbidezze maltate e apporti amaricanti da luppolo. Qualora questi ultimi, in parallelo con gli speculari contributi olfattivi (sia tradizionali sia modernisti), risultino determinanti nel modellare il profilo sensoriale, può essere utile ricorrere, come variante della denominazione, alla qualifica di Hoppy Belgian Blond Ale.
Quanto a ulteriori etichette da citare come efficaci interpreti della tipologia, citiamo – in terra belga la Bink Blond di Kerkom, la Westvleteren Blond, la HertenHeer della scuderia Het Nest e la Brugse Zot di De Halve Maan. Sul fronte nazionale invece troviamo svariate interpretazioni più o meno fedeli come la Blond di Extraomnes (Marnate, Varese); la Alica di Civale (Spinetta Marengo, Alessandria); la Eclipse di Alveria (Canicattini Bagni, Siracusa); la Tuvi Tuvi di Barley (Maracalagonis, Cagliari).