American Blonde Ale: curiosità e caratteristiche
Si muove tra le linee occupate, rispettivamente, dalla Cream Ale (rispetto alla quale è più intensa, oltre che più amara) e dall’American Pale Ale (al cui cospetto risulta più chiara e meno intensamente luppolata, in specie al palato). Un territorio circoscritto e intermedio, insomma, dai caratteri organolettici spesso non così nitidamente scolpiti.
Un’area di manovra nella quale, per giunta, le personalità sensoriali delle singole interpretazioni possono divergere reciprocamente in modo anche significativo. Una zona d’ombra (parziale, almeno, per il mercato italiano) dalla quale tuttavia in questi ultimi anni sta in qualche modo facendo capolino e portandosi all’attenzione sia del produttore sia del consumatore nostrano. Stiamo parlando della Blonde Ale, quella all’americana, da non confondersi con la Belgian Blond, dalla quale la distingue anche in sede di scrittura per quella e finale in più, nell’aggettivo di designazione cromatica.
Si tratta di una tipologia statunitense della prima generazione contemporanea, quella che ha tratto vita dallo stesso big bang (a fine anni Settanta del Novecento) della craft revolution. E ha visto la luce sotto l’impulso di un’esigenza di natura assai pratica. Quella, avvertita ben presto da parte di microbreweries e brewpubs protagonisti della scena artigianale Usa, di poter offrire alla propria clientela pinte di facile accesso (assimilabili a delle Lager), a fronte, purtroppo per loro, del contestuale quanto rognoso problema di non poter brassare effettivamente a bassa fermentazione, in mancanza di attrezzature adeguate (per molti troppo costose).
Per certi versi lo stile di cui parliamo può perciò considerarsi un progetto ibrido. E in effetti un simile inquadramento trova specchio in un aspetto cardine del processo produttivo: per una cotta di Blonde Ale, infatti (oltre alla facoltà di inserire in miscela fino al 25% di frumento maltato), al momento della fermentazione si possono inoculare in tino non solo lieviti americani neutri, non solo leggermente fruttati ceppi inglesi, non solo pulite varietà da Lager, ma anche selezionate colture da Kölsch (ibride, appunto).
Quanto all’identikit generale, eccone la sintesi.
Aspetto: colore dorato (dal tenue al marcato), trama ottica pulita o addirittura limpida, schiuma bianca di proporzionata voluminosità
Profumi: non esplosivi, ma articolati tra basi di cereale fresco o panificato chiaro (con possibili tocchi caramellati) e apporti luppolacei (floreale, citrico, fruttato a pasta bianca o gialla)
Gusto: il sorso spinge invece più convintamente sull’amaro (il tetto è attestato a quota 28 Ibu)
Il corpo è medio leggero e la carbonazione medio-elevata, mentre il ventaglio alcolico è compreso fra i 3,8 e i 5,5 gradi alcolici.