La birra in Nuova Zelanda
Inquadramento, argomenti e conclusioni assai simili a tutto quanto emerso a proposito dell’Australia ci troviamo a esporre in ordine alla vicina Nuova Zelanda. Dal punto di vista della collocazione e del ruolo attuale nella storia della birra, il Paese dei kiwi ricalca il percorso compiuto da quello dei canguri; con un paio di, non irrilevanti, differenze. La prima è che per la Nazione dei Maori non esistono stili storici sopravviventi, ma solo attestati dai diari dei ricercatori; in particolare, sembra che lo stesso esploratore dell’arcipelago, James Cook, abbia documentato, nel Settecento, una cotta di Spruce Beer (all’abete), nella quale fu utilizzato, come aromatizzante, un decotto di aghi di “rimu” (conifera locale), insieme a foglie di “manuka” (pianta indigena dalla quale si ricava, tra l’altro, un rinomato miele) e melassa. Seconda differenza, il catalogo dei luppoli neozelandesi (nuovi o di recente approdo alla notorietà) è, rispetto a quello australiano, provvisto di un testimonial più “glamour”. Il nome di quest’ultimo? Facile: Nelson Sauvin, la varietà ottenuta – correva l’anno 2000 – nei laboratori agronomici della regione di Nelson (città e capoluogo dell’omonima Autorità Unitaria), le cui caratteristiche olfattive ricordano così da vicino quelle del Sauvignon Blanc (peperone giallo, uva spina, pompelmo e soprattutto fiori di bosso, ovvero… pipì di gatto!) da essere battezzato, appunto, Sauvin. Oltre al capofila, dicevamo, la lista dei “typical hops” della Nuova Zelanda abbraccia diversi altri aderenti: tra essi, di particolare spicco, gli aromatici Motueka, Pacifica e Wai-Iti, accanto agli amaricanti Pacific Jem e Pacific Jade. Adesso, alcuni nomi e cognomi di protagonisti del presente scenario brassicolo New Zealand: la 8 Wired Brewing di Warkworth (una commercial brewery, ma dall’alto profilo qualitativo); la Epic (di Auckland), una beer-firm; la Liberty (di Auckland) e la Tuatara (di Paraparaumu), due microbirrifici.