La birra in Finlandia
La Finlandia fa registrare, sul totale dei circa 90 marchi attivi, un numero significativo di beer-firm, affiancati comunque da birrifici e brewpub che tengono alto il vessillo di un movimento artigianale che, alcuni di essi, hanno stimolato fin dai primi anni Novanta. Così, se il panorama del Paese non manca di evidenziare l’immancabile presenza di gruppi industriale (Royal Unibrew, alias Ceres, detiene la proprietà della Hartwall, a Lahti; mentre Carlsberg ha il controllo della storica Sinebrychoff, nata nel 1819 e insediata Kerava), i nomi di spicco nelle classifiche di gradimento sono ovviamente altri, come Koskipanimo (a Tampere) o Bryggeri Helsinki, nella capitale. Peraltro, accanto a un mainstream tipologico che riprende le movenze di quello segnalato in Norvegia, con una bipolarità vertente su Stati Uniti (Apa, Ipa, Double Ipa) e Gran Bretagna (Baltic e Imperial Porter, Russian Stout), nonché la curiosità verso i temi “Wild e Sour”, la storia finnica ha mantenuto viva la consuetudine di una “birra” assai particolare, tanto che definirla tale è in parte una forzatura. Si tratta, per l’esattezza, del Sathi, bevanda ottenuta – inoculando in passato lieviti da panetteria, oggi normali ceppi da Ales – da un mosto di cereali maltati o meno (orzo, segale, frumento e avena), quando non dalla fermentazione di pani preparati con quegli ingredienti. All’aromatizzazione si provvede con luppolo o, nelle versioni effettivamente conformi alla tradizione, con bacche di ginepro: è infatti a contatto con i suoi rami che il mosto di cui sopra viene filtrato, passando attraverso un condotto tubolare detto “kuurna”. Tra le referenze menzionabili, la Kivisahti (con pietre roventi aggiunte ancora al mosto, conferendo un profilo dolce-affumicato) della Hollolan Hirvi, a Hollola.