La birra in Brasile
Quando sentiamo pronunciare la parola Brasile, a differenza di quanto avvenga con Germania o Belgio la nostra fantasia non corre immediatamente a forgiare l’immagine di un bel boccale o di un tulip ricolmo di birra, eppure il gigante sudamericano merita senza dubbio di essere inserito nel novero dei Paesi emergenti più interessanti in ambito brassicolo. Il Brasile, con una notevole impennata nei volumi produttivi negli ultimi anni, è infatti diventato il quarto produttore mondiale della nostra bevanda preferita, alle spalle solo di Cina, USA e Germania, e i suoi abitanti ne consumano la rispettabile quantità di 68 litri all’anno pro capite, oltre il doppio della media italiana. Inoltre, da una decina d’anni tutto il Paese è attraversato da un vulcanico movimento birrario, con aperture di centinaia di birrifici artigianali e locali specializzati e un sempre più forte interesse da parte dei consumatori, che affollano festival e corsi di degustazione.
Nel presentare il panorama brasiliano è doverosa una premessa: se in questa sede ci riferiamo al fenomeno birra artigianale, è tuttavia da considerare come il dominio del reame spetti ai colossi industriali. Su tutti due: il primo – proprietario di referenze a larghissima diffusione quali Antarctica, Brahma, Bohemia e Skol – è Ambev (formalmente Companhia de Bebidas das Américas) ovvero uno dei due gruppi fondatori, nel 2004 (l’altro fu il belga Interbrew) del cartello Inbev, successivamente fusosi con lo statunitense Anheuser Busch a formare il colosso AB Inbev Ab Inbev, che ha nel 2015 inglobato il rivale Sab. E la seconda “macro-brewery” è Brasil Kirin, ramo verdeoro dell’omonima compagnia giapponese, al cui portafoglio appartengono etichette a loro volta ultra-popolari (quali Glacial e Nobel, Baden-Baden), ma anche un pacchetto di marchi microbirrari: alcuni dei quali costituiti ad hoc e appositamente lanciati come soggetti craft (come Devassa); altri invece inglobati dopo aver debuttato da indipendenti, vedi la Cervejaria Sudbrack e la sua linea Eisenbahn (nella cui denominazione è evidente lil richiamo della cultura tedesca, in cui ascendente è assai forte nell’area). Al marchio Eisenbahn peraltro, a prescindere dall’attuale collocazione geopolitica, va riconosciuto, insieme ad altri, il merito di aver dato un impulso fondamentale al comparto craft. E il movimento è oggi l’autentico animatore dello scacchiere nazionale, popolato da circa 420 compagnie di varia dimensione.
E passiamo alle propensioni stilistico produttive. Sotto questo profilo, nitida è la pendenza verso la sponda delle tipologie americane (Apa, Aipa e Double Ipa in testa al gruppo); ma i carioca non hanno affatto reciso il cordone ombelicale con ii modelli europei, in specie britannici e tedeschi (Porter e Robust Porter, Stout e Imperial Stout, Scotch Ale, Weizen). Inoltre, altro tratto in comune con il Messico, anche i piccoli produttori brasiliani sono già tenacemente alla ricerca di uno way of brewing che ne identifichi la fisionomia; e su questo fronte, da registrare è il favore via via crescente riscosso dalle ricette in cui – seguendo, in parte, la strada tracciata dalle Milkshake Ale statunitensi – si faccia uso di frutta: delle più disparate varietà, anche quelle spesso sconosciute in occidente. Alcuni esempi? Il Gabiroba aggiunto nella propria Gose e nella propria Farmhouse dalla Cervejaria Way (Pinhais); oppure le more presenti nella Cerveja Do Amor della Bodebrown (Curitiba), spaziando in svariate altre direzioni. Infine, alcuni altri protagonisti del rinascimento artigianale brasileiro: Tupiniquim (Porto Alegre), Invicta Invicta (Ribeirão Preto) e Dum (beer-firm di Curitiba). Una lista di stili e macrotipologie che testimonia un’evoluzione in due direzioni: da una parte l’ossequio alla dominante tendenza globale verso birre molto luppolate di impronta americana o pacifica, dall’altra la ricerca di una propria “via alla birra artigianale” con sperimentazioni che possono sfruttare la sterminata biodiversità del Paese.
Tra le sperimentazioni più interessanti che si possono assaggiare le birre chiare con caffè verde o poco tostato, in primis la splendida Hop Arabica di Cerveja Morada e le birre realizzate con frutti tropicali e bacche locali. Tra gli specialisti del genere c’è ovviamente Amazon Beer, uno dei pochi birrifici del Nord, che realizza birre con il bacuri, un frutto simile alla papaya, la priprioca, una radice dalle originalissime note erbacee e il cupuaçu, un albero imparentato con il cacao i cui frutti hanno sentori di cioccolato, pera matura e ananas. Tra le birre con frutta più sorprendenti c’è la Patillazo del birrificio Zancanaro e Zancanaro, una American Wheat con anguria, fresca ed appagante. Altri frutti che trovano ampio spazio nella birrificazione sono l’açai, una bacca dalla grande proprietà nutritive che dona il suo aroma minerale a una Sour Ale di Way Beer, il caju, una sorta di anacardo che caratterizza una Saison di Tupinquim, e, naturalmente, mango e passion fruit, che trovano ampio utilizzo sia per arricchire gli aromi luppolati delle IPA che come complemento aromatico per Berliner Weisse e Gose.
La tendenza sour è molto gettonata anche a queste latitudini, come la Funky Framboesa, fermentazione spontanea con lamponi dell’immancabile Tupiniquim così piacevole e ben realizzata da conquistare le lodi di un esperto belga come Luc de Raedemaeker, papà del Brussels Beer Challenge; o come la Morada Gasoline Sour della Cervejaria Curitiba e la Red Meth della Cervejaria Maniba, due ottime interpretazioni di uno stile non certo facile da realizzare come quello delle Flanders Old Red Ale.
Chissà se accanto ai tradizionali prost, cheers e santè in futuro brinderemo più spesso esclamando saude?