Fare la birra: luppolatura a freddo (dry hopping)
Con la dicitura “luppolatura a freddo”, si intendono tutte quelle aggiunte di luppolo che non avvengono durante la bollitura. Infatti, l’utilizzo tradizionale del luppolo nella caldaia di bollitura serve per trasformare – mediante l’elevata temperatura – gli alfa acidi, sostanze contenute nelle ghiandole dei fiori, in iso alfa acidi (processo noto col nome di ‘isomerizzazione’), dal caratteristico sapore amaro. L’utilizzo a freddo differisce nel processo, in quanto, a più basse temperature, gli alfa acidi non isomerizzano e sono meno solubili. Allo stesso tempo, tutte le sostanze aromatiche e gli oli essenziali, che una bollitura vigorosa si porterebbe via, rimangono intatti e si disperdono nella birra, esaltandone il profilo aromatico, gustativo e olfattivo. Esistono diversi tipi di luppolature a freddo, come l’uso del ‘randal’ oppure anche le aggiunte a fuoco spento, durante le fasi di raffreddamento del mosto.
In questa occasione ci occuperemo di una tecnica di facile e comune utilizzo: il dry hopping. Come il nome suggerisce, si tratta proprio di una luppolatura a freddo (in questo caso dry non significa necessariamente ‘a secco’). Consiste nell’aggiungere una adeguata quantità di luppolo durante la fase di fermentazione o alternativamente, passata la prima fase tumultuosa, dopo il primo travaso, durante la fermentazione secondaria. Con alcune accortezze, questa procedura è facilmente attuabile da un neo-birraio, anche per migliorare un preparato in kit. L’attenzione fondamentale, manco a dirlo, consiste nel cercare di non portare agenti nocivi all’interno della nostra birra in fermentazione. Purtroppo in questo caso, tutte le tecniche di pulizia che conosciamo non sono valide, non possiamo ovviamente utilizzare sostanze chimiche disinfettanti, nemmeno l’alcool, che estrarrebbe tutti gli oli essenziali e le resine dal luppolo, tantomeno il calore e così via. Dato che la birra, specialmente in fermentazione, diventa comunque un ambiente abbastanza ostile a molte forme di vita, vuoi per l’alcool prodotto, vuoi per l’attività del lievito, o ancora per altri sottoprodotti creati, l’aggiunta di luppolo fatta in modo rapido senza troppe manipolazioni diventa comunque sicura. Magari utilizzando un hop bag (i sacchettini per il luppolo, in cotone, adatti per le fasi di lavorazione) nuovo, pesiamo la quantità necessaria di luppolo e la immergiamo nel fermentatore, lasciandola a contatto con la birra per almeno una settimana.
Le varietà di luppolo da preferire sono le cosiddette varietà ‘nobili’, ovvero quelle qualitativamente superiori secondo il profilo aromatico, tra tutte il saaz, il kent, il fuggle, per citarne qualcuna americana, il cascade e il columbus, o le recenti nelson sauvin. Non sempre l’alta percentuale di alfa acidi si abbina a buone caratteristiche di luppolatura aromatica, tuttavia questa regola non è vera per esempio nelle varieta americane, quali il columbus, tipicamente con una percentuale di alfa acidi superiore al 10. Si può partire pesando circa 0,5 grammi di luppolo per litro di birra, fino ad arrivare anche a 2 o oltre per le tipiche IPA americane. Solitamente un valore intorno a 1g/l è gia considerato di discreta importanza, anche se ovviamente dipende dalla qualita, dalle quantità di resine e oli presenti e dall’annata del raccolto del luppolo.
Usate il luppolo più fresco che potete reperire, dato che queste essenze si ossidano in fretta perdendo le proprie caratteristiche piacevoli e a volte acquistandone di sgradevoli. Non strizzate l’hop bag quando lo estraete dal fermentatore, sia per non estrarre composti solidi e sgradevoli, sia perché strizzandolo rischiate di contaminare il prodotto.
Un ultimo suggerimento: col tempo, la maturazione tende a far svanire, a diminuire le sensazioni aromatiche del luppolo in bottiglia per cui se come me gradite molto queste sensazioni in alcune delle vostre birre, ovviamente dopo un periodo minimo di maturazione, iniziate tranquillamente a gustarvi le vostre bombe di luppolo al culmine della loro prepotenza!