Fare la birra in casa: come si produce la birra

Prima di tuffarci nei meandri dell’homebrewing, è bene avere chiaro qualche concetto riguardante l’intero processo di produzione. Solo infatti capendo le dinamiche dei fenomeni interessati e gli obiettivi delle fasi produttive, si possono operare le giuste mosse.

Sostanzialmente, il lavoro di chi produce birra è costituito da due tipi di attività: una operativa e l’altra di controllo. Entrambe interconnesse tra loro e strettamente correlate, ma a volte più facilmente distinguibili. Partiamo dalla fase operativa e pratica. Come sappiamo, una delle materie prime a cui spesso si collega l’immagine della birra sono i cereali, ed in particolare l’orzo, che sottoposto a processi di maltazione diversi in base alla tipologia di prodotto da realizzare, diventa pronto per finire nelle mani dell’homebrewer o del birraio. Dopo una opportuna formulazione della ricetta in base alla tipologia di birra che si vuole ottenere, quello che materialmente occorre fare è rendere estraibili quegli zuccheri contenuti all’interno dei chicchi ottenendo, infine, un mosto. Buona parte della fase pratica consiste in questo, ma è tutt’altro che semplice e didascalico come sembra da queste poche righe. Successivamente all’inoculo del lievito, ovvero all’immissione di questo essere vivente all’interno del mosto, ha inizio una fase più prettamente di gestione e controllo, intendendo quello che riguarda i tempi e le temperature che nelle varie fasi della fermentazione guideranno i lieviti stessi nel loro lavoro di trasformazione di quegli zuccheri del mosto in diversi sottoprodotti del suo metabolismo, ovvero alcool, anidride carbonica ed esteri (aromi).

Molitura

Gli zuccheri presenti nei chicchi di malto d’orzo, o da altri cereali maltati o meno, non sono presenti già pronti, ma in una sorta di forma compressa, essendo intrinsecamente contenuti nelle lunghe catene di amidi invece che come zuccheri più semplici. Prima di arrivare alla fase più propria di ammostamento, occorre fisicamente frantumare questi chicchi per permettere all’acqua di prendere in soluzione questi amidi, permettendo così il resto del processo. I cereali (per snellire la scrittura, intendiamo d’ora in poi qualsiasi cereale, maltato o non maltato) vanno quindi spaccati, moliti. È una fase molto delicata perchè dalla grana dei frammenti dipendono a filo stretto indici come l’efficienza di ammostamento e l’efficienza globale, che esprimono la quantità di zuccheri estratti in relazione al totale di quelli contenuti potenzialmente nei chicchi.

Ammostamento

Miscelando i cereali con l’acqua, si permette quindi agli amidi di andare in soluzione. A questo punto si avvia il processo di ammostamento che consiste nel ridurre gli amidi a zuccheri più semplici. Si dice che l’orzo sia il cereale che la natura ha dedicato all’uomo per produrre birra perchè, in effetti, più degli altri cereali, contiene già al suo interno sufficienti ed appropriati enzimi capaci di lavorare questi amidi durante un processo di ammostamento a certe temperature. Quello che si fa in questo cosiddetto mashing, quindi, è far sostare la miscela acqua-cereali a determinate temperature per attivare questi enzimi. È un processo che è funzione di temperatura e tempo, oltre che irreversibile: progredendo nel tempo e salendo con la temperatura, si disattivano alcuni enzimi e se ne attivano altri, senza che vi sia molta possibilità di tornare indietro e rimediare a qualche errore di misurazione o a disattenzioni.

Filtrazione

Ottenuto questo mosto zuccherino, bisogna chiaramente separare la parte liquida da quella solida. È necessario, quindi, filtrarlo delicatamente, impedendo la corsa ai frammenti di trebbie. È un’operazione che, se lenta e accurata, può avere effetti positivi sulla qualità del mosto e sulla sua limpidezza. Lavaggio delle trebbie A seconda delle attrezzature e dei metodi produttivi, può rendersi necessario un ulteriore passaggio detto sparging o lavaggio delle trebbie. Tutto si basa sul fatto che, con diluizioni classiche, non si riesce ad estrarre tutta la quantità di zuccheri dalle trebbie in un’unica filtrazione. Si rende necessario, dunque, aggiungere a queste un’altra quantità di acqua per far dissolvere più facilmente questi zuccheri ancora intrappolati nelle trebbie e portarli, così, insieme al primo mosto per raggiungere i valori designati.

Bollitura

Anche se aver raccolto tutto il mosto dopo la separazione dalla trebbie sembra logicamente l’ultimo passaggio, in realtà c’è necessità di compiere un’altra fondamentale attività. La bollitura è quell’operazione che permette di sterilizzare il mosto e renderlo così anche più concentrato, permettendo ad una parte di acqua di abbandonare la miscela per evaporazione. Sono moltissimi i piccoli grandi effetti della bollitura sul mosto, da approfondire adeguatamente. Senza dubbio, però, contestualmente alla bollitura del mosto in senso stretto, una delle azioni più importanti compiute in questa fase è la luppolatura. L’aggiunta di questo ingrediente mentre il mosto bolle è fondamentale: la bollitura permette ai composti contenuti nel luppolo di dissolversi ed essere trasformati, attivando processi chimici che provocano la formazione di composti responsabili del gusto amaro. Questi sono di estrema importanza e costituiscono il contrappeso amaro necessario a contrastare e bilanciare le dolci sensazioni derivanti dai cereali. Minore è il tempo di bollitura del luppolo con il mosto, minore sarà l’amaro estratto. Man mano che si inserisce una dose di luppolo verso i minuti finali di bollitura, il suo contributo si sposta da quello tipicamente amaricante ad uno più aromatico: è proprio questo il meccanismo che permette poi, in sede di studio della ricetta per le diverse birre, di dosare quantità e durata delle singole luppolature. Nel caso di stili birrari che ne prevedono l’aggiunta, è questa la fase in cui si aggiungono eventuali spezie al mosto in cottura.

Raffreddamento

Compiuto questa fondamentale aggiunta di luppolo, resterebbe solo da includere il quarto degli ingredienti, ovvero il lievito. Ma il mosto a questo punto è letteralmente bollente ed il lievito verrebbe istantaneamente ucciso da questa temperatura. Occorre, quindi, portare il mosto a temperatura inferiore, sottraendo buona parte di quel calore tramite raffreddamento, per mezzo di quello che le attrezzature in dotazione ci permettono. Fondamentale è la pulizia, l’igiene e la cura da porre da questa fase in poi: fintanto che il mosto è in fase di bollitura, le contaminazioni per mano di disattenzioni o scarsa cura delle procedure di sanitizzazione sono quasi perdonate, ma quando si raffredda il mosto fino a circa 15 – 20 °C si entra nel range di lavoro di lieviti e batteri, tutti presenti sia nell’aria che su utensili ed oggetti che entrano in contatto con esso.

Inoculo

Sarà di estrema importanza, allora, aver sanitizzato opportunamente, pochi minuti prima, il fermentatore che ospiterà il mosto raffreddato. Durante il trasferimento o anche subito dopo bisogna anche provvedere ad ossigenarlo correttamente, o con agitazione meccanica oppure per caduta, facendolo sbattere sul fondo del fermentatore e così fargli includere aria, e dunque ossigeno, necessario per la prima fase di moltiplicazione del lievito, inserito a fine trasferimento. Ci si assicura, quindi, di aver chiuso ermeticamente il fermentatore con il suo tappo, lasciando un gorgogliatore ad assicurare solo la fuoriuscita di anidride carbonica e non l’entrata di aria dall’esterno.

Fermentazione

A seconda dei lieviti, l’attività fermentativa comincia in un lasso di tempo che va da poche ore a qualche giorno. Nella prima settimana la fase tumultuosa (o fermentazione primaria) testimonia il lavoro dei lieviti di trasformazione di zuccheri fermentabili in anidride carbonica, oltre che di alcool ed aromi. Qui è la gestione della temperatura di fermentazione e dunque, come dicevamo, il controllo di questa, il fattore principale che guida l’andamento qualitativo e quantitativo del lavoro del lievito. Col passare dei giorni, il gorgogliamento assume una cadenza sempre più lenta, essendo in atto una fermentazione secondaria, meno irruenta. A seconda del ceppo di lievito e della temperatura, oltre che del tipo di mosto realizzato, i tempi di fermentazione variano da un paio di settimane ad un paio di mesi circa.

Confezionamento

Se dopo tutti i controlli sulla densità del mosto fermentato si nota che questo non varia più nonostante il passare dei giorni, giunge il momento di pensare al suo confezionamento. La preparazione di bottiglie e di eventuali fustini è anch’essa fondamentale dal punto di vista della sanitizzazione. Il lavoro di settimane può essere rovinato per sviste, disattenzione o semplicemente fretta se non si prestano le dovute operazioni. Spesso è opportuno trasferire il mosto in un altro fermentatore pulito per escluderne il fondo, dove si sono depositati lieviti esausti e proteine varie.

Rifermentazione

Il travaso prima del confezionamento può essere necessario, soprattutto perché (tranne in casi di imbottigliamento ed infustamento in contropressione, pratica difficile da realizzare tra le mura di casa) nella bottiglia o nel fusto si vuole ricreare una adeguata gasatura grazie ad una seconda fermentazione, detta più semplicemente rifermentazione. La si innesca aggiungendo dello zucchero, che sarà metabolizzato dai lieviti rimasti inevitabilmente in sospensione nella birra e che produrranno ulteriore anidride carbonica. Per questo, una volta tappati bottiglie e fusti, bisognerà assicurare ad essi una opportuna temperatura, molto vicina a quella della prima fermentazione. I tempi di rifermentazione sono di un paio di settimane circa, ma sono necessarie altre settimane per far maturare la birra (da pochissime per birre molto leggere e/o molto luppolate a molte per birre più complesse e più alcoliche), permettendo al lievito anche di rimuovere alcune imperfezioni.

Tutto facile, no?


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