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Nascita e segreti di una schiuma impeccabile

schiuma-birraUn elemento ingiustamente considerato secondario, addirittura non troppo gradito da qualcuno, è la schiuma: un silenzioso protagonista nell’ombra, il principale indicatore ottico della qualità del prodotto, un potente scudo contro l’ossidazione. E un’autentica sfida per gli aspiranti birrai. La birra, in bottiglia o in fusto, si trova in un ambiente a pressione superiore rispetto a quella atmosferica, considerando che al suo interno si trova una grande quantità di gas, in particolare anidride carbonica, disciolta. All’apertura della bottiglia la CO2, non più in equilibrio con l’ambiente esterno, viene rilasciata rapidamente tendendo di nuovo allo stato gassoso, poiché il liquido ne contiene una quantità superiore a quella massima che può trattenere. La velocità con cui ciò si verifica fa sì che il gas in soluzione si liberi, con una rapida formazione di schiuma. Ovviamente la schiuma è influenzata – positivamente o negativamente – da una serie di fattori, controllabili anche a livello homebrewer. Il primo è costituito dalla quantità di anidride carbonica disciolta nel liquido.

Un livello scarso non permette ovviamente la formazione di una buona schiuma, dato che il rilascio dalla fase liquida a quella gassosa, al fine di riequilibrare il sistema, è troppo basso; un quantitativo eccessivo tende invece a velocizzare il processo, creando una tensione nelle bolle che interagisce negativamente con le sostanze colloidali che ne costituiscono il sottile film, facendo sì che il cappello di schiuma cresca parecchio ma che altrettanto velocemente imploda in sé stesso. A seconda dello stile che si desidera ricreare, gli estremi dei volumi di CO2 solitamente indicati dai birrai oscillano tra gli 1-1,5, tipo per le birre ale inglesi con una gasatura bassa, ed i 4, come per weisse, blanche e saison. Sapendo che per produrre un volume di anidride carbonica il lievito necessita di 4 grammi/litro di zucchero, riusciamo facilmente a calcolare la quantità zuccherina necessaria per il priming, la rifermentazione in bottiglia. La fisica ci insegna inoltre che la pressione è strettamente legata alla temperatura, che indirettamente influisce sulla formazione della schiuma, in quanto permette il rilascio più o meno veloce di CO2. Bisogna tuttavia aggiungere che temperature di servizio troppo alte diminuiscono la viscosità della birra, abbassando anche la ritenzione di un cappello superficiale che risulterà più evanescente.

schiuma guinness

Il binomio pressione-temperatura è quindi un sottile equilibrio che il birraio deve riuscire a bilanciare per potersi assicurare una buona base di partenza, dalla quale poter progredire per migliorare tutti gli altri fattori concorrenti. Uno di questi, che influisce positivamente nel lavoro di formazione della schiuma, consiste nello sfruttamento dei cosiddetti siti di nucleazione, piccoli spot, imperfezioni o impurità del recipiente (ad esempio il bicchiere) che facilitano la formazione di bolle del gas disciolto nella birra. Grazie a leggi fisiche come quella di attrazione di van der Waals, il gas si aggrega in questi punti creando microbollicine che man mano si ingrossano e risalgono in superficie, formando quei bellissimi effetti chiamati “catenelle” o “perlage”. L’esempio pratico più comune consiste nel lasciar cadere alcuni granelli di sale o zucchero in una birra, in uno spumante o in qualche bibita gassata: l’effervescenza aumenterà immediatamente e, dal fondo del bicchiere (in particolar modo dai punti in cui sono precipitati i granelli) si formeranno lunghe catenelle di bollicine. I siti di nucleazione possono trovarsi, creati ad arte, sul fondo dei bicchieri, ma molto più spesso si tratta di minuscole impurità presenti nell’aria che si depositano all’interno dello stesso. Nei laboratori della Moët et Chandon è stato addirittura dimostrato come, versando uno Champagne in bicchieri precedentemente lavati con tecniche particolari, non veniva prodotta alcuna bollicina, al pari di un vino tranquillo. Altro fattore positivo è la struttura della schiuma. Quest’ultima è composta principalmente da proteine e da altri composti che, in adeguate quantità, ne favoriscono ed accentuano la formazione. Tra questi ricordiamo le proteine LPT1, Z e l’ordenina, che derivano dal malto d’orzo e le cui quantità dipendono in gran parte dalla varietà del malto stesso. Le proteine Z e le ordenine possono essere considerati come i “mattoni” della schiuma, che creano la struttura che compone il reticolo di bolle. In quantità elevate, però, rischiano di portare torbidità nella birra, e oltretutto le ordenine sono poco stabili. LPT1 è invece l’acronimo di Lipid Protein Transfer 1, proteine con un’azione schiumogena im- portante (ma molto instabili) che appaiono già durante la germinazione del malto: con la bollitura si denaturano e, combinate con le classi di proteine precedenti, diventano dei forti stabilizzanti. Ricordiamo inoltre che gli iso-alfaacidi presenti nella birra aiutano i legami proteici, per cui le birre più luppolate sono solitamente caratterizzate da una schiuma più fine e persistente, che rimane presente nel bicchiere fino all’ultimo sorso.

Malto
Il malto d’orzo, di frumento o di altri cereali, è la fonte primaria delle proteine necessarie alla struttura della schiuma: tutte le varietà in commercio ne contengono ormai i livelli adeguati necessari al birraio. L’attenzione principale deve riporsi sul grado di tostatura del malto, dato che il calore tende a denaturare le proteine, in particolare Z e LPT1. Per questo motivo, grandi aggiunte di malti speciali tendono a produrre mosti con schiuma meno ricca e soprattutto meno stabile. ammostamento Il processo di mash non intacca la struttura proteica dei gruppi Z e LPT1, ma influisce soprattutto sulle ordenine. In particolare, il protein rest (45-50°C) attiva enzimi proteolitici che disgregano le ordenine – magari di malti poco modificati – per portarli a livelli accettabili. Il prolungamento eccessivo di questo step influisce tuttavia negativamente sulla stabilità finale della schiuma.

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Bollitura
La bollitura comporta in tema una serie di processi positivi e negativi. Uno degli scopi più importanti consiste nella dena- turazione – e conseguente coagulazione – delle proteine in eccesso, con la formazione dell’hot trub. La maggior parte delle proteine presenti nell’ammostamento vengono fatte flocculare e rimosse dopo la bollitura: più questa si prolunga, più la denaturazione prosegue, con il risultato di avere un mosto povero delle proteine fondamentali per la struttura del cappello di schiuma. È fondamentale quindi non esagerare, né protrarre troppo la bollitura (magari per concentrare il di vegetale e verdure bollite – è più che sufficiente per produrre mosti cor- retti: solitamente non si superano i 100 minuti di bollitura. Fermentazione Il processo fermentativo, si sa, è forse il momento più delicato nella produzione di birra e risulta delicato anche per la resa della schiuma nel prodotto finale. Una fermentazione pulita e senza intoppi è fondamentale anche per facilitare un buon cappello di schiuma nel bicchiere quando si versa e si beve la birra. Quando il lievito subisce degli stress, quali fermentazioni interrotte o temperature errate, sappiamo bene che produce profumi, aromi non graditi e non trasforma correttamente il mosto in birra finita. Questo perché la fermentazione – ed in particolare quella sottoposta a stress – produce una varietà di sottoprodotti, tra cui lipidi, che diminuiscono la pressione mosto), proprio perché il rischio di una sovra-denaturazione è elevato. Una normale bollitura per favorire una formazione di hot trub adeguata, che permetta una giusta isomerizzazione del luppolo e l’espulsione dei precursori del dimetilsolfuro – chiamato anche DMS, è un off-flavour che porta aromi sgradevoli idrostatica delle bolle abbattendo la stabilità della schiuma. Il lievito, inoltre, secerne un enzima, la proteinasi A, che lavora degradando alcune classi di proteine, tra cui le LPT1, andando a diminuire ulteriormente la capacità di produrre schiuma stabile. Ovviamente tutti questi fattori sono moltiplicati esponenzialmente se il lievito raggiunge livelli di stress elevati, inclusi la temibile autolisi, processo per cui il lievito, ormai inattivo, autodigerisce la propria parete cellulare rilasciando all’esterno tutte le sostanze interne, provocando un risultato devastante per la nostra schiuma.