Mozzarella e birra? Perché no!
In un morso di formaggio, la parabola di un’epopea dell’emigrazione: dall’Italia centro-meridionale verso il successo internazionale. Questa l’allegoria implicitamente impressa nella Mozzarella, specialità casearia tra le più note della Penisola, tipica delle regioni tra basso Lazio e Puglia, che trova la sua terra d’elezione in Campania. Tra i portabandiera più apprezzati del “Made in Italy” in tutto il mondo è la regina delle paste filate, classificazione – comprendente anche caciocavalli e provole – che trae il proprio nome da un procedimento di preparazione alquanto articolato e laborioso. Consumata fresca, la Mozzarella si presenta tipicamente con le sue forme spesso rotondeggianti, di varia dimensione, dal bocconcino alle pezzature da mezzo chilo e più. Il latte utilizzato può essere di bufala, vaccino, ovino, di genere misto e, alquanto recentemente – per andare incontro alle esigenze di chi soffra di allergie alle proteine dei generi appena citati – anche di caprino. A incidere sul prodotto finale anche la pratica di caseificazione, che può andare a sottolineare alcuni tratti sensoriali, quali l’acidulità o la sapidità (l’intensità della salagione, ad esempio, varia in rapporto anche alla pezzatura). Ciò detto, la Mozzarella – tra le cui tipologie più pregiate segnaliamo la Bufala Campana Dop, il Fior di Latte e i Fior di Latte territoriali di Agerola, del Vallo di Diano, di Sorrento, dell’Agro Nocerino e dei Monti Lattari – mette in campo caratteri improntati alla fragranza lattea (associabili alla materia liquida fresca, o in crema, fino alle percezioni di yogurt); alla succulenza, dovuta alla forte presenza acquea nel boccone; all’intensità sensoriale spiccata, priva di qualsiasi aggressività.
Chiavi d’abbinamento? Molteplici, proprio per la ragioni fin qui esposte. Tuttavia, prendendo in considerazione la Mozzarella “in solitaria”, la sua consistenza grassa, induce a volgere lo sguardo verso significativi tassi d’effervescenza, acidità o alcolicità (quest’ultima utile, fra l’altro, anche a gestire la quantità di liquidi in circolo nel cavo orale). La generale dolcezza del boccone (priva di esuberanze sapide, acide o amaricanti) creerà invece il terreno d’incontro adatto a birre orientate verso qualche tipo di spigolosità. Così, se abbastanza intuitivo è il connubio con generi quali Weizen, Blanche e sottostili annessi (in specie Weissbock o Dubbel Wit), Saison e (al limite) Belgian Strong Ales, la versatilità del genoma neutro-latteo del nostro formaggio lo rende compatibile anche con tipologie più esigenti. Ad esempio, Lambic e i suoi derivati (Kriek e Framboise comprese), possono essere chiamati in causa, con la tranquillità che l’acidità non troverà contrasti disarmonici nel morso. Potete provare anche con gli spunti minerali e lattici di una Gose; o addirittura le “rognosette” American Ipa e Double Ipa, stando attenti che la bitterness non incontri sul proprio cammino l’inciampo di qualche salatura di troppo.