L’importanza delle spezie nella birra belga
In tempi antichi, tutti i birrai del mondo impiegavano spezie. La maggior parte delle modifiche apportate alla birra, incluso l’utilizzo di spezie, sono state attuate da monaci e abbazie. Quando la religione cristiana cominciò a diffondersi in Europa occidentale (dal VI secolo in poi), furono erette numerose abbazie, la maggior parte delle quali erano dotate di birrificio e giardino con coltivazione di erbe aromatiche e spezie. Per questo motivo, secondo la maggior parte degli storici della birra, i monaci furono in grado di perfezionare il loro uso nella birra. Il nome più comune attribuito a questo mix di erbe è “gruit” o “gruut”. Questa parola sembra però prendere diversi significati nel mondo della birra (si veda The Risa and Fall of Gruit si Susan Verberg). All’inizio gruit indicava un qualche tipo di prodotto a base di grano (semole sbucciate), è diventato poi il nome di una tassa da pagare a ogni cotta, in seguito, nel XIV secolo, iniziò designare un’aggiunta di erbe nella birra, per infine essere usato per definire la birra stessa. In questo articolo ci focalizzeremo sul terzo significato, ovvero l’aggiunta di erbe.
Dando un’occhiata ai registri rimasti dei “gruithuizen” o “gruit house” dei Paesi Bassi (di cui il Belgio faceva parte), si può notare la presenza delle seguenti spezie: myrica gale, bacche di alloro e Silfio (una pianta estinta assimilabile al finocchio), spesso assieme a resina (di pino) o abete rosso, anice, cumino e bacche di ginepro. Alcuni includono alla lista anche salvia e edera macinata. La maggior parte degli storici è d’accordo nel dire che ogni regione usava il proprio mix di erbe (su questo concordo anche io) e che solo chi governava ne conosceva la composizione. Su quest’ultimo punto nutro dubbi in quanto la preparazione era affidata alla manovalanza, e la maggior parte degli acquirenti erano agricoltori e gente di campagna, individui con una buona conoscenza di ciò che la natura offre e quindi con la capacità di riconoscere gli ingredienti del mix dall’odore o dal sapore. I birrai, durante il Medioevo, spesso usavano spezie, non solo per il loro sapore, ma anche per coprire off-flavours, sensazioni acide o rancide. I medici dell’epoca spesso attribuivano alle spezie proprietà mediche, ragione che potrebbe spiegare il successo di birre che le impiegavano. Esistono fonti storiche sull’impiego del luppolo fin dal IX secolo, ma questa pratica sembra essere molto localizzata e limitata (si veda The history of beer additives in Europe di Karl-Ernst Behre). Nella Germania del Nord, già dal XII secolo, esistevano luppoleti e il loro raccolto veniva usato nella produzione birraria. Birre con luppolo, brassate correttamente, potevano reggere per una durata di tempo più lunga rispetto alle birre senza luppolo prodotte fino ad allora, rendendo possibile la crescita produttiva dal XIII secolo in poi e l’emergere della figura del birraio di professione. Dal XIII secolo in poi, il luppolo divenne l’ingrediente principale nell’industria brassicola della Germania del nord: la birra luppolata fu un vero successo e iniziò a essere esportata nei Paesi Bassi e nel resto d’Europa. Richard Unger (autore di Beer in the Middle Ages and the Renaissance) afferma che i birrai olandesi impararono molto rapidamente come produrre birra luppolata e in poco tempo iniziarono a distribuirla nell’odierno Belgio.
I birrai belgi cominciarono a impiegare luppolo verso la fine del XIV secolo. Se un tempo fossero applicate regolamentazioni e tassazioni diverse sulla birra e la sua produzione è ancora oggetto di dibattito tra gli storici. Il duca Giovanni Senza Paura di Borgogna, governatore delle Fiandre all’inizio del XV secolo, istituì “L’ordine del Luppolo” nel 1409. C’è da dire che i birrai belgi erano e restano un gruppo di testardi e non si fanno facilmente dissuadere da normative e regole. Possiamo quindi ipotizzare che l’impiego di spezie e erbe proseguì per tempo, anche se forse su scala minore e probabilmente in tandem con il luppolo. Un po’ come successe in Inghilterra, dove convivevano Ale (birre senza luppolo) e Beer (con luppolo). Per quanto riguarda la birra belga, le fonti letterarie rimangono scarse per alcuni secoli, fino al 1851, quando l’ingegnere chimico Georges Lacambre scrisse il “Traité complet de la fabrication des bières et de la distillation des grains, pomme de terre, vins, betteraves…” (disponibile gratuitamente su books.google). All’interno di questo trattato vengono descritte tutte le più importanti birre e i metodi di produzione in Germania, Francia, Inghilterra e Belgio. Per quanto riguarda le erbe e le spezie, fa riferimento soprattutto a piante da campo e resine, essenza di abete rosso, semi di coriandolo, semi di cumino, semi del paradiso, pepe di Cayenna, fiori di sambuco, calamo aromatico, zenzero. Purtroppo non vengono menzionati gli stili nei quali queste erbe vengono impiegate. Ciononostante, questo libro contiene numerose informazioni interessanti per gli amanti delle birre belghe, soprattutto per quanto riguarda le birre di frumento. Parlando ad esempio di Lambic, Faro e Bière de mars, Georges descrive l’impiego di luppolo fresco di alta qualità e non di luppolo vecchio. Non vi è traccia del termine “gueuze”, anche se la pratica di blendare lambic giovane e invecchiato viene citata. La birra di frumento di Leuven chiamata “Peeterman” e riferendosi alla Hoegaarden, Georges parla dell’impiego di luppolo vecchio e nessuna spezia. È stato dimostrato che per secoli e addirittura ancora oggi, i birrai belgi non dicono sempre tutto a chi fa loro domande sulle ricette (quando non depistino proprio), per questa ragione le descrizioni non sono quasi mai complete. La mia opinione è che i birrai belgi nei secoli hanno usato erbe e spezie nelle loro birre, ma non ne hanno mai fatto menzione visto che l’impatto sul sapore e sull’aroma era minimo. Il che giustifica il fatto che neanche Lacambre ne associ l’utilizzo ad uno stile.
Tutto sommato le birre molto speziate sono esistite in Belgio, tenuto conto dell’esistenza di circa 3000 birrifici alla fine del XIX secolo che servivano principalmente i villaggi locali. Con l’avvento di pils/lager e ale inglesi, che assalirono il mercato belga, i birrai dovettero allinearsi e cominciare a brassare basse fermentazioni, birre speciali e stout, a discapito delle loro tipiche birre ad alta fermentazione. Inoltre le due guerre mondiali ebbero un forte impatto sul numero di birrifici, alcuni dei quali chiusero definitivamente, e sulla varietà stilistica disponibile sul mercato. Questa riduzione fu ulteriormente aggravata dall’industrializzazione del comparto brassicolo, durante la quale grandi produttori di lager acquisirono piccoli produttori, rinforzando la loro presenza territoriale, chiudendo birrifici e mettendo “in pensione” alcuni marchi. Alla fine degli anni 70 lo scenario belga era costituito da circa 100 produttori. I birrifici di piccole dimensioni spesso erano di proprietà familiare e continuavano a brassare per la comunità locale. I grandi produttori invece producevano quantità massicce e detenevano circa l’80% del mercato seppur continuando a produrre secondo le ricette tradizionali, alcune delle quali contenevano spezie. L’impiego di erbe e spezie divenne ancora meno evidente, in modo tale che le birre potessero competere con i birrifici industriali e la loro fresche, pulite (alcuni direbbero insapori) pilsner. All’interno di questo scenario, fa eccezione il caso di Pierre Celis che rilanciò la witbier Hoegaarden nel 1996 usando coriandolo e buccia d’arancia (che sia tornato alla ricetta d’origine o meno è ancora questione di dibattito). Tuttavia, il suo gusto particolare e l’aspetto la resero molto popolare e in molti provarono a emularne la ricetta. Pierre continuò a tenere d’occhio lo scenario brassicolo belga, a volta anche in veste di consulente, e nel 1982, un dinamico duo, diede vita al birrificio Achouffe e brassò una strong golden ale con coriandolo.
Il giro di boa arrivò all’inizio degli anni 80 quando alcuni ragazzi di Anversa diedero vita al gruppo di consumatori OBP (Objective Beer Tasters, precursore dello Zythos). Ricevettero una buona copertura stampa creando consapevolezza fra i bevitori di birra interessati. Il fenomeno si è rinforzato quando in Belgio, il 1986 è stato dichiarato “l’anno della birra”. Quell’anno i media hanno fornito numerose informazioni riguardanti i piccoli birrifici del Belgio e gli stili che producevano. Il risultato fu un incremento nell’interesse e nelle vendite. Alcuni birrai riconsiderarono ciò che stavano facendo e tornarono sui loro passi, producendo birre più autentiche, senza tirarsi indietro dal impiegare spezie e altri ingredienti. Un tipico esempio di questo processo è il birrificio St-Feuillien che già produceva una birra bionda con spezie, ma che ne aumentò il quantitativo. I proprietari, nel 1988, iniziarono una nuova produzione sotto il nome di Brasserie Friart, lanciando sul mercato la loro Tripel, una versione più forte della Blond, ma contenente le stesse spezie. La ricetta è segreta, ma fonti precedenti fanno riferimento a myrica gale, menta, timo e alloro. La loro tripel dalla speziatura evidente risulta atipica per i canoni dello stile. Alcuni birrifici specializzati in saison iniziarono a usare (più) spezie. Un esempio è quello della Brasserie à Vapeur: la loro Saison de Pipaix, secondo Jean-Louis Dits, si basa su una ricetta del 1785, rilanciata da lui stesso nel 1984 e contenente pepe, zenzero, buccia d’arancia dolce, curaçao e anice stellato. La Vapeur en Folie, nata nel 1986, prevede cumino, buccia d’arancia dolce, e altre spezie. Fantôme dal canto suo, diede il via alle operazioni nel 1988. Fra le prime creazioni troviamo la Saison D’Erezée, impreziosita da ogni erba che Danny Prignon trovò nei dintorni del birrificio. Un ulteriore slancio alla scena belga fu dato da Michael Jackson e il suo libro “Great Beers of Belgium”, la cui prima edizione risale al 1991.
Torniamo ai nostri giorni. Nuove spezie vengono usate oggi in diversi stili di birra, come per esempio le citate saison e tripel. Tra le birre che impiegano spezie, possiamo citare anche le birre di Natale, inizialmente pensate per il mercato straniero ma ben presto diffuse anche localmente. Non può essere negato che alcune delle più famose birre belghe contengano un pizzico di spezie, per esempio le tre trappiste scure di Rochefort che contengono un lieve tocco di coriandolo. Questo però non consente ai birrai stranieri che aggiungono spezie alle loro birre di chiamarle Belgian Style, perché commettono un errore. Piuttosto oserei descrivere il tocco belga con una domanda provocatoria: perché aggiungere erbe quando gli ingredienti base offrono già molto alla birra? Un birraio belga usa le spezie soltanto per aggiungere complessità alla birra, non per creare una birra che abbia il sapore di una spezia precisa. Coloro che negli anni 80 hanno riscoperto le loro radici produttive, continuano a seguire lo stesso sentiero. Ovviamente, con la sperimentazione attuale su scala mondiale, anche i birrai belgi sentono la voglia di provare a diversificarsi. Questo può avvenire attraverso l’uso di nuove spezie o aumentando il quantitativo. Questa evoluzione era prevedibile ora che il Belgio conta oltre 350 birrifici e 250 beerfirm e che il mercato diventa più piccolo di anno in anno (i belgi nel 2019 hanno consumato una media di 70 litri a testa, mentre nel 2000 i litri bevuti erano 99). Tipici esempi sono le beerfirm come Circus Brewery (Zwevegem) e Totem Brewing, che producono con birre molte spezie ed erbe aromatiche. Tra i birrifici più conosciuti Duvel, già proprietario di Achouffe dal 2006, e dal 2010 anche di Brouwerij De Koninck, ha creato, proprio con quest’ultimo marchio, la “Lost in Spice”: prendendo spunto dal dry hopping, ha replicato lo stesso procedimento con le spezie (dry spicing), inserendo zenzero e cardamomo, oltre buccia d’arancia, coriandolo e limone già presenti nel mash tun.