La birra in Spagna
Un Paese in deciso fermento. Grazie all’impulso dovuto al recente avvio del movimento artigianale (si parla di un cammino iniziato, nella sua sostanza, dopo il 2000), il panorama spagnolo registra attualmente qualcosa come 650 marchi; e il contatore è in costante ascesa. Peraltro si tratta di un quadro alquanto disomogeneo, quanto alla qualità media del prodotto, che è ancora alla ricerca di una propria identità, ma (prima ancora) del consolidamento di quei “fondamentali” (uno standard procedurale stabile, un accesso alle materie prime regolare, una ferma conoscenza dei principali stili di riferimento ma anche degli ingredienti utilizzati e della loro resa sensoriale) attraverso i quali uniformare il profilo generale delle lavorazioni. Insomma, uno scenario che ricorda da vicino – pur non essendone una fotocopia – quello del nostro Paese nel corso del primo decennio dopo il momento fondativo datato 1995-96. Dal punto di vista delle tipologie, non essendoci un robusto retroterra storico al quale rifarsi (altra similitudine con l’Italia), si è di fronte a quella che non è eccessivo definire una “colonizzazione” da parte dei generi d’ispirazione statunitense, con Apa e Ipa (in tutte le sottospecie: White, Black, Session e compagnia) a fare da apripista per tutta la loro brigata “yankee”. Un posto speciale, però, nel cuore degli spagnoli, lo hanno le categorie brassicole ad alta gradazione, intese trasversalmente a tutte le rispettive appartenenze stilistiche: così, a furoreggiare nelle classifiche di gradimento sono spesso le americane Double Ipa e le britanniche Imperial Stout, Robust Porter o Barley Wine; queste ultime tre sempre meno di rado sperimentate a contatto con fusti da affinamento presi in prestito dal settore vitivinicolo. Tra i marchi più attivi, da citare, solo a titolo d’esempio i vari Naparbier (Noain), Guineu (Valls de Torrella), Dougall’s (Liérganes), Edge (Barcellona), La Quince (progetto di birrificazione itinerante) e Companyia Cervesera del Montseny (Sant Miquel de Balenyà).