Ritorno al futuro, per la Pilsner Urquell: che si riappropria della (originale) veste scura. Parliamo di bottiglie: del loro colore, per l’esattezza. Che nel caso dell’etichetta boema (all’anagrafe: la proprietà è oggi nelle mani del colosso anglo-sudafricano SAB Miller) sta per cambiare decisamente sfumatura, passando dall’attuale verde smeraldino a un bruno austero. Il provvedimento – annunciato per adesso in riferimento al mercato britannico – apre inevitabilmente il campo alle interpretazioni, circa le ragioni effettive della decisione assunta.
Questione di stile? Di look puro e semplice? Il gruppo detentore del marchio esteuropeo pone la questione in termini di rispetto della storicità del prodotto: la scelta – si dice, in sostanza – intende valorizzare il patrimonio tradizionale e l’autenticità di quella che è stata la prima Lager dorata al mondo. In realtà, al di là di tali motivazioni (pur plausibili e condivisibili), potrebbe esserci la presa d’atto di come, in alcune filiere distributive, non ci sia troppa cura (per usare un eufemismo) durante la fase di stoccaggio del prodotto.
Come noto, le radiazioni luminose (le solari principalmente, ma anche quelle delle lampade a luce fredda da interni non scherzano) possono essere particolarmente deleterie per le qualità sensoriali della birra. La quale, per deterioramento delle componenti gustolfattive del luppolo, si carica di quello che appunto è lapalissianamente chiamato gusto luce, frutto dell’insorgenza di mercaptani dall’odore particolarmente sgradevole: per intenderci tra la zaffata del sudore e il tanfo del fluido corporeo della puzzola. Provare per credere…