Pizza margherita con mozzarella di bufala e birra: l’abbinamento
Ma tu vulive ‘a pizza, ‘a pizza, ‘a pizza.. cu ‘a pummarola ‘ncoppa, cu ‘a pummarola ‘ncoppa, Ma tu vulive ‘a pizza, ‘a pizza, ‘a pizza, cu ‘a pummarola ‘ncoppa.. ‘a pizza e niente cchiù!
Basterebbe questa breve strofetta di una canzone popolare per ricordarci quanto la pizza sia radicata nel nostro dna di italiani e quanto per questo siamo conosciuti all’estero. Non esiste Gioconda, Ferrari o Armani.. se pronunciate la parola pizza immediatamente tutte le persone nel mondo penseranno alla nostra penisola, aprendosi in un grande sorriso.
E sì che facciamo di tutto per rovinare il nostro rapporto con questo cibo ancestrale. I consumi delle pizze surgelate hanno recentemente superato, in termini di utilizzo pro-capite, quelli delle pizze ordinate nelle pizzerie artigianali, attestandosi sulle 30.000 (trentamila!) tonnellate l’anno. Questo forse accade perché la pizza, come una mamma buona, pur se maltrattata, offesa ed insultata riesce comunque a regalarci un sorriso anche in queste demoniache versioni. Senza parlare di come la trattiamo quando, facendo un grandissimo salto di qualità dal nostro freezer al pizzaiolo egiziano, tentiamo di abbinarle una bevanda. Le Cola in lattina vanno per la maggiore o, in alternativa adulta, boccali di lager industriali ghiacciate, spillate senza schiuma e con velocità, come se la pizzeria stesse andando a fuoco… Insomma, un disastro su tutta la linea. E poi, come il famoso adagio ‘daboviano’ recita “la birra non esiste, esistono le birre!”, in maniera identica non esiste “la” pizza.
Lasciamo perdere le “ricette” più estreme (abbiamo visto versioni con ananas sciroppato insieme a wurstel hard-discount, o l’immancabile alla nutella!) e soffermiamoci su quella che, nell’immaginario collettivo e anche nei numeri dei produttori di ghiaccioli, si identifica come la variante più gettonata: la Margherita. Un disco di pasta lievitata, pomodoro, olio extra vergine di oliva, mozzarella o fiordilatte, basilico: questi i semplici protagonisti della verace Pizza Margherita napoletana, quella con il cornicione per intenderci, l’unica che prendiamo in considerazione. Solo leggendo la lista degli ingredienti, anche fossimo marziani che non hanno mai addentato una fetta di pizza, capiremmo che la caratteristica gustativa peculiare e dominante del piatto è l’acidità data dal pomodoro. E che quindi l’abbinamento “Margherita-Mediachiara” è quanto di più sbagliato si possa concepire. Persino la sbobba giallastra che beviamo di solito con la pizza è “tecnicamente” birra, e la birra, guarda un po’, ha un gusto amaro.
Non serve essere Sommelier diplomati: basterebbe assaggiare pensando a cosa si sente in bocca per accorgersi facilmente che l’acidità e l’amaro insieme non danno un risultato piacevolissimo sul palato. E poi c’è l’annosa questione della mozzarella: il disciplinare della verace pizza napoletana prescriverebbe il fiordilatte vaccino, che assieme all’extra vergine è responsabile della sensazione di grassezza unita ad una leggera untuosità provocata dalla fusione. Il condizionale è d’obbligo perché sempre più pizzaioli offrono una versione “rinforzata” nel gusto dall’uso di Mozzarella di Bufala. Ci vuole molta attenzione nell’utilizzo di questo ingrediente, gli artigiani più attenti non usano il prodotto appena giunto dal caseificio ma lo fanno maturare e sgrondare per un paio di giorni, in modo da evitare l’”effetto lago” sulla pizza finita data la maggiore presenza di liquido. Se usata bene la Bufala dà una marcia in più al sapore, aumentandone però la sapidità e la grassezza.
Riassumendo, questa (all’apparenza) semplice portata ha caratteristiche di abbinamento dominate dall’acidità, dalla grassezza, dalla sapidità, dall’untuosità e dalla succulenza della pasta lievitata. Tante cose, che ci fanno temere che l’abbinamento migliore, alla fine, sia la lattina di Cola ghiacciata… Rifuggendo questi cattivi pensieri avremo bisogno di una birra morbida, sul versante di un malto caramellato (quasi mieloso addirittura), aiutato in questa dolcezza anche da un alcool importante. Calore alcolico che ci aiuterà pure a sciogliere l’untuosità, bilanciare la succulenza e ripulire la grassezza, con il supporto dell’effetto meccanico di una discreta anidride carbonica. La scelta cade su di una Bock del Birrificio Italiano di Limido Comasco: non su quella che possiamo definire l’antesignana, la capostipite dello stile in Italia, la Bibock, che vedremmo benissimo in abbinamento alla classica versione con il fiordilatte; in presenza della Bufala abbiamo trovato paradisiaca la sorella maggiore (almeno per alcolicità) Amber Shock, un vero capolavoro dell’arte birraria italiana. Il bellissimo e brillante ambrato sormontato da un cappello di schiuma fine e compatta vi introduce già nel territorio del caramello, che si palesa immediatamente al naso, subito sovrastato da toni fruttati maturi di agrumi e ananas e con un leggero pepato finale dato probabilmente da una dosata luppolatura. In bocca c’è una perfetta corrispondenza gusto olfattiva, arricchita da un calore alcolico non bruciante che termina in un “warming” appena la birra è deglutita. Ripulisce perfettamente la pizza, adeguandosi alle sue spigolosità e tirando fuori, all’occorrenza, una possente muscolatura. Abbinamento non proprio “territoriale” (ma consideriamo la pizza come patrimonio dell’Umanità…), che speriamo sconvolga le vostre convinzioni al punto da diventare pedanti con il prossimo malcapitato pizzaiolo che vi proporrà una ghiacciata Mediachiara.
Articolo tratto da Fermento Birra Magazine n. 7