Fare il Belgio all’italiana

“In principio era il Belgio”. Oppure “C’era una volta il Belgio”. Già, perché, nella percezione di quanti fanno parte della prima generazione formatasi nell’alveo del movimento artigianale italiano, il Belgio è stato “LA” birra. Certo, nell’espressione “Grande Belgio”, spesso utilizzata per evocare questo mondo, scorre una vena, neanche troppo sottile, di nostalgia. L’eco che s’irradia pronunciando quelle due parole è la stessa che accompagna locuzioni quali “epoca d’oro” o “anni ruggenti”. Si allude alla grandezza di un’egemonia culturale, ma anche allo slancio di un entusiasmo che poi ha ceduto il passo a un’esperienza più ragionata e meno vitale. Eppure, a veder bene, il Belgio è come un fuoco che arde sotto la cenere. Per almeno quattro ragioni. La prima: il filone “Sour e Wild” presenta al proprio interno un paio di correnti che, di fatto, costituiscono, rispetto alla scuola fiamminga e vallona, un cordone ombelicale ancora solido (si veda il recinto “Farmhouse e dintorni” e l’area “Flemish Red & Oud Bruin”). Seconda evidenza: pur in un contesto più incline a “modelli brassicoli” di altre regioni geografiche, c’è una tipologia “belga purosangue” che ha conservato intatto il proprio potere di seduzione come quella delle Saison, in tutte le sue innumerevoli interpretazioni. Punto terzo: sebbene magari in posizione minoritaria, gli aficionados del tricolore “nerogiallorosso” continuano a costituire una comunità coesa e diffusa. Una schiera di consumatori che trova nello Stivale un sicuro punto di riferimento in alcuni collaudati produttori, marchi di rango inoppugnabile, il cui lavoro ha fatto, e continua a fare, la storia della birra belga in Italia. 

Una storia che interessa lo stesso scoccare della “scintilla scatenante” da cui trae origine il movimento artigianale italiano quale noi lo conosciamo oggi. Giusto nel ’96 apre i battenti, a Piozzo, il Baladin, univocamente riconosciuto tra i “padri nobili” del “sogno microbirrario tricolore”. Una passione, la sua, che regala, in quegli anni, interpretazioni di canoni classici come la Super (Dark Strong Ale da 8 gradi), la Isaac (Witbier da 5 gradi), la Wayan (Saison da 5.6 gradi, con forte integrazione in spezie direttamente aggiunte) o ancora la Mama Kriek (non un Lambic in sé, ma la Wayan addizionata con ciliegie e spostata su una titolazione alcolica leggermente superiore).
Fortemente nord-centrica per almeno un decennio, la fase di consolidamento ed esplorazione attraversata dal nostro tessuto di piccoli impianti tiene, in quella fase, una bara ben saldamente ancorata alle direzioni tracciate dall’imprinting belga di cui si è detto. Così, le tipologie-simbolo delle province tra Fiandra e Vallonia presidiano in forze i cataloghi di diversi birrifici, ciascuno  con la propria inclinazione caratterizzante.


Quella legata all’impiego di spezie è senza dubbio la cifra espressa da un marchio quale Troll, la cui officina creativa ragala, dal 2003, a Vernante (in provincia di Cuneo, nella cornice delle Alpi Marittime) esecuzioni che vanno sotto i nomi, ad esempio della Shangrila (prima creazione della scuderia piemontese, una Dark Strong Ale da 8 gradi, nella cui ricetta le citate spezie sono himalayane); della Panada (Witbier da 4.7 gradi, con coriandolo, arancia in zeste e altro ancora); o della Daü (Saison in versione Table, da 3.9 gradi, con due tipi di pepe e una pianta proveniente dai monti locali tenuta segreta). 


Ancora fiori, semi e scorze troviamo – spostandoci diverse centinaia di chilometri a est – nella cassettiera degli ingredienti cui attinge, a partire dal 2006, la sala cotte veneta di 32 Via dei Birrai, a Pederobba (nel Trevigiano): una firma alla quale fanno capo etichette come la Nebra (Strong Dark Ale da 8 gradi, con petali di sambuco) o, per scendere a inferiori latitudini etiliche, la Tre+Due (battesimo che ne esplicita la gradazione) e la Curmi (Witbier da 5 gradi), ambedue con coriandolo e bucce d’arancia.


Gli anni trascorrono, il fronte craft cresce, con gradualità, per certi versi con andamento non del tutto costante, ma cresce. Il suo baricentro si sposta, portando l’area di attività ad abbracciare le regioni centrali e meridionali del Paese, “isole comprese”. E proprio in ambiente insulare, a Maracalagonis (Cagliari), prendono a gorgogliare, nel 2006, i fermentatori di casa Barley, la cui mano è tra quelle che contribuisce alla genesi del progetto IGA; ma che, parimenti, plasma alcune bevute risolutamente alla belga diventate iconiche nel percorso compiuto dal produttore sardo. Tra esse Sella del Diavolo (6.5 gradi per una tra le non molte versioni di Bière de garde all’italiana); Toccadibò (possente Golden Strong Ale da 8.4 gradi); Friska (una Witbier da 5 gradi, trattata, senza eresie, con con coriandolo e scorza di arancia amara); e Duenna (Saison da 6.5 gradi alquanto anticonformista per via di luppoli nuovomondisti).

Ortodossia e licenze si fondono anche nel tocco con cui, alla scuola belga, si avvicina Croce di Malto, il cui stabilimento è attivo, a Trecate (Novara), dal 2008. Un laboratorio dal quale escono “creature” come la Triplexx, spalluta Golden Strong Ale da 7.8 gradi, impastata (nome omen) con tre tipi di cereale (orzo, avena, frumento), tre di spezie e altrettante di luppolo; o come la Magnus (7.3 la gradazione, per questa Dark Strong Ale con base Dubbel più, di nuovo, spezie); o ancora come la Temporis, vivace Saison da 6.8 gradi alla quale non manca (no, neanche a lei), l’impiego di spezie in aggiunta diretta. 


Dal Piemonte alla Liguria il passo è breve. A Genova, giusto un anno prima rispetto a Croce di Malto, prende avvio il cammino di Maltus Faber. Il cui vessillo garrisce su una gamma di prodotti tra i più rappresentativi dei quali troviamo, fin dalla prima ora, la Brune e la Extra Brune (due Dark Strong Ale, rispettivamente da 7 e 10 gradi), la Blonde (Belgian Blond da 5.6 gradi); la Triple (i gradi salgono a 8 in questa Golden Strong Ale con luppoli anche statunitensi); e la Bianca, originale argomentazione attorno al canovaccio Witbier, nella quale (su miscela secca da malto d’orzo e frumento più avena in fiocchi), troviamo una costruzione aromatica affidata non a spezie, bensì a luppoli modernisti, quali Cascade e Citra.

Il contatore temporale macina i suoi giri e punta dritto verso lo spartiacque di fine primo decennio del secolo. E giusto giusto il 2010 – proprio mentre i gusti del mercato nazionale iniziano a essere via via sempre più calamitati ad opera dell’irresistibile attrazione esercitata dallo “way of brewing” a stelle e strisce – osserva tuttavia l’entrata in scena, a Marnate (in provincia di Varese), del “più belga dei birrifici italiani”: Extraomnes. Un’evidenza tanto lampante e tanto capace di contrassegnare un numero così elevato di etichette, nel portafoglio lombardo, che diventa davvero difficile sceglierne una campionatura migliore di altre. Risolviamola così; nella linea che viene definita “classica” troviamo: Blond (saettante Belgian Blond da 4.4 gradi, fresca e incisiva alla “de la Senne”); Saison (sic et simpliciter, con la semplice indicazione tipologica, per una taglia etilica di 6.9 gradi); Zest (Hoppy Saison da 5.3 gradi, con una variante “elevata a potenza”, da 9 gradi, non a caso battezzata Imperial Zest); Tripel (anche qui con la designazione di stile, per una taglia etilica pari a 8.6 gradi); Biere de Garde (idem rinunciando a nomi d’arte, con una stazza di 8.1 gradi); Kerst (devastante, per beva e potenza congiunte, Dark Strong Ale da 10 gradi, destinata anche a edizioni annuali maturate in legno, quelle della serie Kerst Reserva). Basta? Macché, le stesse sezioni di gamma dedicate alle “speciali” e alle “collaborazioni” pullulano di tipologie belghe: come la la 42DB (Saison da 3.5 gradi in territorio Farmhouse) o la Ciuski (sempre una Saison, ma tratta con zenzero e una gradazione del 4.9%); come Migdal Bavel (Saison da 6.7 gradi con mirra e pepe di Sichuan, elaborata a quattro mani con  gli statunitensi di Stillwater) o come Chien Andalou (provocatoria Dark Strong Ale che si dichiara Quintupel, esibendo i suoi 13 gradi); fino ad arrivare all’iconoclasta Sabrage, esperimento (da 8.8 gradi, tanto per non farsi mancar niente) in cui le virtù del lieviti Saison accolgono le esuberanze di un luppolo “di tendenza”, l’americano Sabro.

All’appello delle zone del Paese nelle quali scorre un Dna con cromosomi fiamminghi e valloni non manca poi la Toscana. Dove a Pietrasanta (gioiello storico-artistico in provincia di Lucca), dal 2011, sbuffano i tini del Birrificio del Forte; la cui considerazione, da parte di pubblico e critica, si fonda anche (e solidamente) sui riscontri raccolti dalle produzioni di matrice belga: tra esse, le varie Saison del Villaggio (6 gradi, con fiori di sambuco, frutto di una collaborazione con la Brasseria de Cazeau) e La Mancina (Golden Strong Ale da 7.5 gradi); Regina del mare (Dark Strong Ale, 8 gradi) e Cintura d’Orione (lei stessa una Dark Strong Ale, preparata per i brindisi di Natale e diversificata, anno per anno, con una diversa varietà di miele). 


Stesse coordinate temporali – anno di nascita il 2011 – interessano poi la scheda anagrafica del Birrificio dell’Aspide, con sede a Roccadaspide, in provincia di Salerno. Un’esperienza campana dai forti tratti di rusticità, la cui devozione belga si concretizza in prodotti quali due Blond Ale luppolate (la Blonde da 5.5 gradi e la Cascade, da 5 gradi, con dry hopping dell’omonimo luppolo americano); la Nirvana (Strong Golden Ale da 8 gradi), la Belle Saison (una Farmhouse da 6.2 gradi al cui processo fermentativo concorrono microrganismi prelevati dalla buccia di cotogne). 
In Friuli a Forgaria (Udine) dal 2012 opera Garlatti Costa, nel cui assortimento il Belgio trova ampio spazio, attraverso un ventaglio di referenze che include, ad esempio, due Belgian Blond (la Riff, una Session da 4.5 gradi; e la Lupus, un profilo luppolato audace abbinato a una taglia etilica da 6 gradi), la Liquidambra (Bière de garde ambrée da 7 gradi), la Orzobruno (Strong Dark Ale da 8 gradi) e Orzodoro (Tripel da 9 gradi).


Né la seduzione degli esterificanti fermenti belgi avrebbe potuto lasciare indifferente un temperamento caldo quale quello della Sicilia, con i suoi autori, protagonisti di un movimento regionale in crescita, per estensione e consapevolezza di sé. In questo panorama, la splendida Ragusa festeggia nel 2014 il fiocco neonatale del marchio Yblon: nel cui catalogo trovano voce etichette come Yblond (Belgian Blond da 5 gradi, moderna nel combinare apporti di lievito e luppolo), come Timpa (Saison da 6.5 gradi brassata anche con grano duro locale) e come Saia (altra Saison, ma da 5 gradi, con farro e spezie varie, quali anice stellato, cumino e pepe). 


Restando con la bussola orientata verso il Meridione, lo stesso 2014 vede l’entrata in scena a Castellalto (Teramo) delle birre targate BiBiBir: un listino stilisticamente composito quello abruzzese, nel quale tuttavia le tipologie fiamminghe e valloni hanno un occhio assolutamente di riguardo. Ne fanno fede le varie Witaly (Witbier da 4.4), Birrantonio (Blond Ale da 4.9) o la serie delle Vedo Doppio (Dubbel da 7 gradi), Vedo Triplo (Tripel da 8.4) e Vedo Quadruplo (Quadrupel  da 10.2).  

Della Toscana come di un pezzo d’Italia “sentimentalmente legato a Bruxelles” si è parlato già a proposito della rotta tracciata dal Birrificio del Forte. Ebbene, tale direzione di marcia è ripresa, a partire dal 2015, anche a Castelnuovo Berardenga (nel Senese) grazie al Podere La Berta, il cui paniere propone bevute quali Up’n under (Belgian Blond da 5.8 gradi), Casabase (Hoppy Belgian Ale in versione session, da 4 e 8, con luppoli europei e americani), Vècc (Saison in declinazione Farmhouse da 6 gradi, con anche un’edizione  Barrel Aged da 7.2), Galaverna (Natalizia, da 8 gradi, con grani del paradiso, bergamotto e vaniglia). 


Si arriva così alla contemporaneità, intesa in senso lato. È il 2017, infatti, l’anno di esordio di due realtà – non proprio agli antipodi nella Penisola: ma quasi – esse stesse contraddistinte da una nitida, e non certo nascosta, vena d’amore verso la tradizione belga: parliamo di Rebeers (a Foggia) e Nix Beer (a Pavia). Partiamo dalla gamma lombarda di Nix Beer, che pone sotto i riflettori bevute come quelle della WitWit (Double Blanche da 7 gradi), della Xelles (Belgian Blond Ale da 5 gradi, asciutta e luppolata, alla De Ranke), della Malle (aitante Tripel da 9.7 gradi), della Hallerbros (asfaltante e cingolata Quadrupel da 11.3 gradi). Quanto a Rebeers, interessante l’esperienza qui condotta e tesa a miscelare l’inclinazione belga con l’attenzione alla materia prima locale. Questo uno degli spunti d’ispirazione dai quali trae vita la Fovea, una Wheat Beer da 5 gradi, frutto di un mosto ottenuto da grano Senatore Cappelli in purezza e di una fermentazione sinergica ad opera di lieviti Weizen e Saison. Ma anche il resto del catalogo, più “convenzionale” rivela un’impronta belga decisamente energica: in birre come la Bianca Madeleine (5.3 gradi, per una ricetta che include malto d’orzo, avena in fiocchi, grano Senatore Cappelli, coriandolo e arancia in fiore, oltre che in scorza); o come Sweetly Blonde (Belgian Blond, essa stessa da 5.3 gradi); o ancora come la Golden Kick (palestrata e perentoria Golden Strong Ale, da 8.5 gradi). 

Insomma, se qualcuno vi ponesse la domanda “Che fine ha fatto il Belgio in Italia?”, la risposta potrebbe essere: “Il Belgio è ancora vivo, e lotta insieme a noi!”.