Er fine pena, A piede libero e Fa er bravo: pronte le prime tre birre del Carcere di Rebibbia
La birra come occasione di riscatto e di reinserimento sociale. Er fine pena, A piede libero, Fa er bravo: sono le prime tre etichette made in carcere, frutto del progetto riabilitativo Vale la pena, promosso – con il cofinanziamento dei ministeri Giustizia e Università-Ricerca – dall’associazione Semi di libertà, insieme ai detenuti del carcere romano di Rebibbia. Obiettivo di fondo dell’iniziativa, allestire un impianto di microbrewery quale officina per formare i reclusi (cinque quelli coinvolti nell’esperienza) alla pratica del brassatore: instradandoli, con tale professionalità, a un cammino di inclusione lavorativa. Il 2014 è stato l’anno della posa della fondamenta: lezioni teoriche, laboratori di pratica, insomma, mesi di sperimentazione e di semina; adesso, le prime settimane del 2015, fanno scoccare l’ora del raccolto: e della salita sul palcoscenico, come detto, delle tre produzioni d’esordio.
Er fine pena (il cui nome, autoironicamente, allude proprio al lungo percorso di preparazione) è una Golden Ale che nasce con la collaborazione di Marco Meneghin, “mente” del marchio capitolino Birra Stavio. Il contributo di Paolo Mazzola (frontman della beer-firm Castelli Romani, di Albano) e degli studenti dell’Istituto Superiore Emilio Sereni (anch’esso di Roma) è invece il tratto distintivo della A piede libero, ricetta aromatizzata con arancia amara e cannella, poggiante su un mash di cereali tra i quali spicca il farro biologico coltivato dalla scuola stessa. Infine, la Fa’ er bravo: una monoluppolo intitolata alla varietà americana qui impiegata, il Bravo appunto, la cui realizzazione ha visto il concorso di un altro craft-brewer laziale, Orazio Laudi di Birra Turan (Viterbo). Allo studio, a questo punto, le modalità di distribuzione delle tre nuove labels.