Con Bruges, o meglio Brugge, ho fatto l’amore sin dal primo incontro, avvenuto ormai oltre un quarto di secolo fa. Prima ci ho fatto l’amore e poi me ne sono perdutamente innamorato, tanto che almeno un paio di volte l’anno ci torno da solo, con amici fidati o col mio gruppo di cacciatori di birre. Ho visto e amato Brugge in tutte le stagioni, congelata con anatre e folaghe che goffamente slittavano sui canali ghiacciati imitate dai cacciatori di birre sugli infidi marciapiedi, oppure accecata dal sole con conseguente esponenziale aumento della nostra sete. Pescando tra i tanti ricordi e aneddoti personali legati a questa città-bomboniera, meraviglia dell’uomo e della natura, ve ne racconterò alcuni tra i meno conosciuti.
Grazie a Brugge imparai il significato della parola fiamminga “bestemming”, che non vuol dire quello che sembra ma semplicemente “destinazione”. Inverno 1998, in una giornata di pioggia battente, che solo lì sa essere così battente, partii dalla stazione col bus n.6 per Breskens, in Olanda, per poi raggiungere in traghetto Vlissingen e da lì in bus Middelburg, per unire due passioni come la musica d’avanguardia olandese e naturalmente le birre con tappa obbligata al caffè De Mug, dal mitico Barend Midavaine. Fu proprio lì che incontrai casualmente per la prima volta il compianto John White, profondo conoscitore, instancabile viaggiatore e soprattutto uno dei miei migliori amici. Ho detto casualmente, ma John ha sempre sostenuto che il nostro fosse stato un incontro “predestinato”. Il corpulento publican olandese ci portò nei sotterranei del locale dove estrasse dal cilindro una kriek di una birreria locale estinta da anni, evento immortalato nel leggendario sito di John che l’adorata moglie Joyce lasciò vivere su spontanea richiesta dei suoi numerosissimi amici ed estimatori. Persi il senso del tempo e, quando mi accorsi di star rischiando di perdere anche l’ultimo bus e di conseguenza l’ultimo traghetto, corsi alla fermata e presi il primo al volo, ma arrivai al terminal con tre traghetti in partenza. Era buio, non sapevo quale fosse il mio, diluviava, c’era il rumore dei motori, ma quando un marinaio paonazzo levando gli ormeggi urlò “bestemming Brugge” capii e saltai su quello giusto. Per me questo gioiello di città era soprattutto sinonimo di birre. Avevo scritto un articolo intitolato “Un piccolo paradiso nel paradiso” alludendo alle Fiandre Occidentali, le “plat pays” cantato da Jacques Brel, costellato di caffè, birrerie, musei, il tutto raccolto in una manciata di chilometri, che regalano all’appassionato viaggiatore giornate indimenticabili, emozioni e incontri incancellabili.
Aiutato dal libretto “Beer Traveller in West Flanders” dell’amico inglese Simon van Tromp, alla fine degli anni Novanta misi a ferro e fuoco l’intera provincia. A parte i must imprescindibili come i De Dolle a Esen/Diskmuide, In de Vrede a Westvleteren, il beershop Noël Cuvelier ad Abele e il ristorante ‘t Hommelhof a Watou, avevo almeno venti luoghi “personali” tra cui il preferito nella minuscola Oeren, 40 abitanti (sì avete letto bene, 40), precisamente il caffè De Leute (Il Piacere), con oltre trecento posti. In ogni caso, sia che fossi ad Ostenda nella Taverna Botteltje o nel caffè ‘t Ostens Bierhuus, a Ichtegem al ristorante In Den Plezanten Hof con le birre di Marc Strubbe, nei musei De Snoek di Fortem o quello più noto di Poperinge, sia che fossi sperduto in mezzo ai campi, nel caffè Hellekapelle della birreria De Bie o nei caratteristici caffè di Dranouter come il Kauwackers o di Kemmel come il Labyrint, la mia base è sempre stata Bruges, ed era lì che tornavo ogni volta dagli esaltanti tour de force.
Bruges era sempre pronta ad aspettarmi come un’amante trepidante. Lì ritrovavo amici che mi accoglievano sempre con affetto e con un sorriso. Due su tutti: la carissima Daisy Claes che nel suo piccolo grande tempio, il celeberrimo ‘t Brugs Beertje (l’orsetto di Bruges) tutt’ora celebra l’antico rito di dar da bere agli assetati aggiungendo consigli e suggerimenti, e il leggendario Tom Allewaert, oggi in pensione, che nel suo elegante ristorante-albergo Erasmus mi deliziava con grandi piatti ma soprattutto con una strepitosa kriek Liefmans, in esclusiva nella versione acidissima prima dell’aggiunta di zucchero, che mi versava “per default” appena mi vedeva entrare. In tante visite a Bruges (quante saranno state? Più di cento? Forse sì!) ho visto nascere, morire o trasformarsi tanti locali che hanno segnato la mia vita.
Ogni tanto mi piaceva cenare al Den Wittenkop in Jacobstraat. La prima volta una cameriera agitata mi informò di come la gueuze da me ordinata fosse molto ma molto acida (Drie Fonteinen per la cronaca). Il proprietario mi regalò un quadro antico raffigurante la Echte Kriek Verhaeghe, che ancora adorna la mia camera. Non mi attirava particolarmente il brewpub Brugse Bierkaai, che chiuse abbastanza presto, fondato dallo scrittore e speaker radiofonico Jan De Bruyn, ex-marito di Daisy e fratello dello chef Bert del ristorante De Gouden Ecu di Anversa. Lo faceva invece molto l’estaminet De Garre in cui entravo almeno una volta al giorno per godermi tre birre della casa da 11 gradi alcolici (la quarta viene tutt’ora rifiutata), delle quali Lisy Van den Heuvel (proprietaria pure dell’elegante ristorante Den Dyver, che proponeva vari menù con piatti e birre in abbinamento) non voleva rivelare il produttore. Io non avevo dubbi (Van Steenberge) e glielo dicevo in un orecchio, ma lei metteva il dito indice sulla bocca sussurrandomi “è un segreto”. Altra tappa fissa era la magnifica birreria-museo De Gouden Boom, che dopo essere stata acquisita da Palm è ora definitivamente defunta. Ma non ci voglio pensare, sennò piango. Un posto a me caro era anche lo Straffe Hendrik (oggi tornato all’ancor più antico nome di De Halve Maan) nella Walplein, dove pranzavo ma soprattutto cercavo disperatamente nell’omonima birra-base l’aroma di fico che il maestro Peter Combecq indicava nella sua Bibbia tradotta in francese, fondamentale per la mia formazione e che ancor oggi, malconcia e tenuta insieme da un elastico, conservo come una reliquia.
Ricordo poi tanti altri “rifugi”, magari con meno birre ma ognuno con la propria atmosfera, come per fare un solo esempio la Curiosa, taverna-catacomba dove avevo scovato e scolato delle Goudenband d’annata. E oggi? Beh, oggi Brugge, come testimonia il libretto “Around Bruges in 80 beers” dell’amico Chris Pollard (più noto come Podge) scritto con Siobham McGinn, rappresenta ancora una miniera d’oro per l’appassionato con almeno un paio di new entry davvero interessanti, sempre tempestivamente segnalate dal carissimo amico Filip Geerts di Bruges, del quale vi consiglio vivamente il sito belgianbeerboard.com. Vi lascio proprio con due dritte di Filip. Comincio con De Bierboom, un beer-shop con mescita dove trovare birre inusuali servite ad hoc da Rudy, titolare molto competente e affabile, e concludo con il Café Red Rose, gestito con cura, amore e genuina passione da Kris Vereiman il cui motto è “Trappist beer… taste the silence”. E ho detto tutto!
articolo apparso sul nr. 8 di Fermento Birra Magazine