Cacciatori di luppolo: quando la qualità fa la differenza
Nonostante questo momento storico non ci aiuti ad avere una visione completa della scena italiana, non è così difficile notare e ribadire che in Italia il segmento delle hop-forward rimane sicuramente il più iconico per diverse ragioni di mercato, e probabilmente è proprio in questo campo che molti birrifici sono arrivati a livelli qualitativi elevati.
Molte IPA italiane potrebbero tranquillamente dire la propria in un mercato europeo (seppur sia poco conveniente per motivi logistici) e di certo non soffrirebbero molto il confronto con le migliori luppolate americane. Il livello medio si è alzato nel corso degli anni e questo consolida trend produttivi e conseguenti imitazioni: il boom delle NEIPA, il rimbalzo verso le più tradizionali interpretazioni West Coast, le contaminazioni con frutta e altri ingredienti, raccontano di come sia importante anche distinguersi nell’universo del luppolo, districandosi tra nuove ibridazioni produttive e step qualitativi sempre più spinti in alto.
OLTRE GLI STANDARD
Una delle caratteristiche del mondo IPA è la possibilità di far risaltare il luppolo anche agendo su altri fattori. È così che si è innescata la scalata delle NEIPA, dove la scoperta che le tempistiche sul dry hopping influenzano moltissimo il profilo aromatico e organolettico ha acceso i riflettori su un aspetto fino a quel tempo ignorato.
La stessa variabile lievito ha dato il via a una serie di interpretazioni innovative: celebre l’attenzione avuta dal lievito Vermont, poi distribuita a pioggia su tutta una serie di ceppi meno neutri e in grado di interagire meglio con il luppolo per creare quelle biotrasformazioni alla base del DDH (double dry hopping, ndr), attuale standard ricorrente un po’ in tutte le IPA caratterizzate in maniera intensa e brillante dai migliori luppoli in circolazione. Non è da sottovalutare neppure il contributo dei cereali, cruciali nella funzione di sfondo e determinanti per diversi ruoli. Questi sono gli anni dell’avena in grandissime quantità, del Pils di base con Monaco e Vienna a contorno, perfino dell’innovativo malto Chit ricco di proteine complesse, molto utilizzato per le NEIPA.
RINTRACCIARE LE FARM
Molto spesso, però, i canali italiani da cui è possibile ordinare luppoli sono una “livella”, ovvero sono uguali per tutti, non per loro demeriti ma per la natura stessa dei meccanismi internazionali di distribuzione. L’effetto conseguente è una certa omologazione, per cui ogni birrificio può accedere a una gamma di varietà che è la stessa.
Come fare, quindi, per assicurarsi i migliori luppoli in circolazione? Ottenere un luppolo che sia qualitativamente di alto livello può trasformarsi in un lavoro di ricerca e selezione direttamente nelle hop farm americane (aziende agricole specializzate nella coltivazione, trasformazione e vendita del luppolo), oppure da più grandi realtà che da queste attingono il prezioso oro verde.
Uno dei primi produttori di cui si ha traccia è la compagnia di John Haas, nata nel primo dopoguerra a Norimberga, attenta anche al mercato americano, tanto da unirsi alla Barth & Sons per costituire la Barth Haas, attore mondiale di intermediazione e distribuzione tra farm e rivenditori, specie tra i mercati americano e europeo. Tra i primi coltivatori degli ultimi decenni troviamo Perrault Farms, Carpenter Ranches e Loftus Ranches: tre famiglie che pian piano si sono costituite come unico soggetto economico e hanno dato vita nel 1980 alla Yakima Chief Ranches (YCR). Spesso queste sono consorziate in modo da mettere in comune macchinari all’avanguardia per la trasformazione (in pellet, cryo ecc.), la logistica, la vendita e lo stoccaggio in enormi celle frigo. Ci sono poi farm molto più piccole e indipendenti ed è qui che le cose si complicano.
In qualche caso interviene anche una figura di hop broker per mettere in contatto queste con i clienti finali, ovvero i birrifici, ma bisogna essere assai scaltri. Uno dei birrai italiani che per primo ha avuto l’opportunità di selezionare luppolo in terra americana è stato Andrea Dell’Olmo di Vento Forte, che così racconta la sua esperienza: Nel 2015 iniziai a importare luppolo dagli USA con un hop broker che mi fece avviare un contatto diretto con Crosby, una farm in Oregon: dopo aver importato molto da loro sulla fiducia, l’anno successivo fui invitato lì a selezionare qualche varietà. In questi contesti vengono sottoposti al birraio i brewer’s cut, ovvero dei campioni di coni pressati relativi ai diversi lotti delle singole varietà coltivate, confrontati a fine stagione quando sono tutti pronti. Fu molto divertente e molto formativo per me perchè allora non arrivava sempre del buon luppolo tramite i grandi importatori Yakima Chief Range e Barth Haas, e me ne accorgevo nettamente ogniqualvolta bevevo certe IPA nelle mie incursioni in California. Oggi, invece, il mercato sembra molto più appiattito: la tendenza è quella di usare gli stessi luppoli come Citra e Mosaic, la cui offerta oggi riesce a coprire la domanda dei birrai italiani soltanto grazie a un rallentamento della crescita dei birrifici americani e a fronte di un aumento programmato di coltivazioni. Anche per questo ora tendo a cercare meno di prima nuove varietà o lotti diversi, perchè i rivenditori stanno garantendo una qualità più elevata. La selezione di cui dispongono i big americani, tuttavia, resta un grande vantaggio, perchè possono permettersi le first choice che per costi esosi, fatica e burocrazia (abbiamo importato per nave e anche per via aerea!) noi non possiamo sostenere.
CONTRATTI ANNUALI E ANNATE SFORTUNATE
La formula del contratto annuale di fornitura è quella che regola i rapporti commerciali tra i vari soggetti: da un lato le farm strutturate fissano così canali e volumi di vendita attraverso accordi con intermediari e grandi concessionari (a loro volta richiesti dai rivenditori nazionali), dall’altra questi ultimi si vincolano con i birrifici concordando quantità e varietà, assicurando cifre tutto sommato vantaggiose e forniture ben definite e frazionate nel tempo.
Per potersi permettere uno o più luppoli sempre in magazzino, un birrificio affermato ha necessità di stipulare questi contratti per evitare di dover cambiare la combinazione di luppoli, variando così percezione e qualità nel bevitore finale. A volte la strategia è quella di differenziare il rischio di uno sfortunato crop (raccolto annuale) o lotti di scarsa qualità firmando più contratti con diversi fornitori o diverse farm per garantire la buona riuscita di un dry hopping. Questo è vero soprattutto per certi luppoli, come Centennial e Cascade, presenti in moltissime birre (non necessariamente IPA), per i quali raccolti le stesse farm e i loro consorzi richiedono contratti con anni di anticipo per un semplice motivo: pianificarne la produzione.
SPERIMENTARE E SELEZIONARE
Se è vero che per incrementare o tagliare le produzioni di luppoli molto richiesti c’è bisogno di anni di anticipo, è anche vero che serve molto più tempo per l’avviamento di varietà sperimentali. Una volta studiate e decise le cultivar da ibridare e piantare, occorre il primo anno per raccoglierne i semi e valutarne le proprietà agronomiche e di resistenza agli agenti infestanti. Fatto questo bisogna continuare fino al terzo anno per mettere le piante in dimora e valutarne le proprietà delle infiorescenze e attendere fino al quinto anno per considerare la loro capacità di adattarsi a diversi terreni possibili con diversi terroir. Ma non è ancora finita: si deve proseguire fino all’ottavo anno per test sulla raccolta e sulle proprietà fisiche in sala cottura, per poi infine arrivare a decidere se la varietà sperimentale può avere un futuro commerciale. Generalmente un piano di ibridazione ben congeniato porta a seguire diverse combinazioni per cui è probabile ottenere qualche buon risultato prima o poi, ma la selezione è rigida e l’intero processo può durare anche venti anni. Molti dei moderni luppoli hanno seguito questo percorso: i costi finali di conseguenza risultano alti e le quantità scarse, motivo per cui ricevere un invito o una prelazione sulla selezione di una promettente varietà sperimentale può costituire un vero privilegio. Basti pensare al successo degli ultimi anni di luppoli come Sabro, Loral, Talus ecc. Spesso contrassegnati da un codice che serve a chi lavora sul fronte ricerca come HBC (Hop Breeding Company, joint venture di Yakima Chief Ranches e Barth Haas) e come il consorzio ADHA (Association for Development of Hop Agronomy). Alcuni di questi possiedono anche impianti pilota per produzione di birra (è il caso della divisione americana di Barth Haas), a dimostrazione di quanto sia fondamentale chiudere l’intero processo che va dal campo al bicchiere per valutare il risultato.
Per Marco Ruffa di Crak e lo staff del birrificio ci sono state diverse occasioni di visita nelle farm americane e tedesche e dalle sue parole si riesce ad approfondire ulteriormente lo sguardo sull’intero settore: È molto difficile acquistare luppolo dalle farm americane, sia per questioni economiche che burocratiche. Molte non sono neppure preparate sui documenti da produrre quando qualche birrificio europeo gli chiede di esportare. Le piccole realtà possono nascondere grandi sorprese ma anche presentare prodotti mediocri. Per esempio, siamo stati in una farm abbastanza piccola perchè volevamo selezionare del luppolo Ekuanot: nessun lotto ci sembrava qualitativamente valido e così abbiamo lasciato perdere e siamo andati a selezionarlo e acquistarlo da un’altra parte. Le farm più grandi, invece, richiedendo enormi ordini, rendono complesso anche accedere alle selezioni del raccolto, nonostante l’importatore europeo e il rivenditore italiano cerchino di fare da intermediari. Inoltre, una volta invitati, è difficile che facciano assaggiare tutti i lotti: messe da parte le prime scelte, tendono a mixarli e standardizzarne la qualità. In genere sono molto attente a vendere luppolo a birrifici con una certa reputazione, sono quasi gelosi del prodotto e non vogliono che venga usato nel modo sbagliato. Quando siamo andati a Yakima (Washington, USA), per esempio, volevano proporci di scegliere solo tra quattro lotti di Citra: è stata durissima riuscire a ottenere qualche lotto in più da testare, ma alla fine siamo riusciti ad averne avanti a noi ben dieci e abbiamo trovato quella che più rispondeva alle nostre richieste. Magari hanno problemi ad acquistare i luppoli europei, ma i birrifici americani sono decisamente avvantaggiati in termini di burocrazia e disponibilità delle loro farm a vendere immediatamente: i big del craft e qualche piccola industria addirittura riescono a farsi produrre varietà sperimentali in esclusiva per loro e le usano per delle one-shot uniche e inedite. Quest’ultimo è un aspetto che manca in Europa, ma quello che in Germania e in tutta Europa manca viene compensato da una dinamica di selezione e acquisto più comoda. In Italia le farm, per ora, sono realtà abbastanza piccole ma con prodotti buoni e sempre in crescita. Ci vorrà tempo, altri anni e molti investimenti, ma per quello che abbiamo provato al momento siamo già soddisfatti dei luppoli italiani e sarebbe ottimo avere un buon prodotto acquistabile direttamente in Italia, con tutti i vantaggi annessi.
CULTIVAR E TERROIR
Non è importante solo la disponibilità di un certo luppolo, ma i suoi dati riguardanti alfa e beta acidi e le concentrazioni dei vari oli. Per cui paradossalmente anche una situazione di grande disponibilità di tutte le varietà costituirebbe un problema ugualmente grande qualora nei magazzini dei rivenditori risultassero disponibili cultivar ma di provenienze tutte differenti. Lo si è visto spesso in passato sul Cascade, che coltivato in UK risultava molto diverso da quello americano, sia in termini organolettici che di proprietà amaricanti. Incredibilmente (ma neanche tanto) anche all’interno di uno stesso territorio (terroir) le singole aree possono conferire diversi impatti a parità di cultivar (talvolta si parla di cru). Tom Malover della Hop Head Farms (Michigan, USA) afferma: il Chinook che cresce da noi, nel sud dello Stato, è più fruttato di uno che cresce nel nord. Si può affermare che sono Chinook entrambi, ma sono decisamente diversi. Qualcosa di simile la afferma Leonard Gude, founder di Florida Hop Growers (Tampa Bay, Florida). Nonostante sia fuori dall’area gli stati di Washington, Oregon e Idaho dove viene prodotta la quasi totalità del luppolo americano, parla così del loro Cascade: ha alfa-acidi simili a un Cascade cresciuto in altri stati ma minori beta-acidi e tende ad essere più dolce, ad avere meno amaro. Questo sorprende i birrai ma li stimola nella creazione di birre più spinte sull’aroma fruttato.
IL GAP ITALIANO
La possibilità e la necessità di firmare contratti di fornitura di luppolo in qualche caso apre le porte a una verifica sul campo delle condizioni dei raccolti. Non per tutti è possibile farlo realmente, come rivela Matteo Pomposini di MC77: Siamo stati a Yakima nel 2019 e abbiamo partecipato alla Hop & Brew School di Yakima Chief Ranches. Il corso prevedeva sia talk che esperienze sul campo e lì abbiamo potuto fare una prova di processo di selezione. Ma la possibilità di selezionare un lotto avviene per quantitativi molto elevati (grosso modo parliamo di 250.000 € a varietà!), per cui è facile comprendere che noi – e quasi tutti in Italia – siamo ben distanti dal potercelo permettere. Anche per questo motivo, per l’Europa (forse lasciando fuori i colossi) l’importazione avviene spesso con intermediari nazionali o internazionali che hanno l’esclusiva con Yakima Chief Ranches o Barth Haas. In questo tipo di eventi, invece, non si riescono a seguire direttamente il processo di selezione, l’aspetto di contrattazione e di acquisto. Infatti in quella esperienza c’erano i referenti di un rivenditore italiano concessionario e pochi referenti di birrifici in grado di esprimere il proprio potere d’acquisto per scegliere un proprio lotto. Ad ogni modo, mettendo il caso che si riesca a garantire di riuscire a spendere certe somme, con gruppi di farm così strutturati a livello logistico ci si deve appoggiare necessariamente al rivenditore concessionario. Nonostante ciò, sono realtà molto ben organizzate che tengono sotto controllo forse l’aspetto più complicato, che poi è il più importante: la trasformazione e la conservabilità del luppolo dopo il raccolto.
L’impresa di andare in terra americana e tornare in Italia carichi di un luppolo eccezionale è sicuramente esclusiva per pochi: non è impossibile, ma di sicuro difficilmente sostenibile. Nonostante per un birraio italiano questo sia anche un bel pretesto per viaggiare, non è neppure il più economico dei modi per far raggiungere alle proprie luppolate vette altissime, ma attualmente è una pratica simbolica, centrale e essenziale nel mondo del magico cono verde.
Quello che possiamo fare però è cominciare la nostra ricerca partendo da una ottima IPA, ovviamente italiana!