Vivacemente attivo, in questo periodo, il fronte della ricerca applicata che guarda alla filiera e alla produzione della birra con l’obiettivo di recuperare gli scarti e valorizzarli così da ottenere un beneficio ambientale.
Uno degli indirizzi d’indagine intrapresi in tal senso è avviato in Italia e punta a ricavare bio-combustibili da trebbie, lieviti esausti e acque di processo; la massa dei quali potrebbe essere utilizzata in misura straordinariamente consistente, attorno al 90%. Il progetto – elaborato dal Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura) – ne ipotizza l’impiego per produrre carbone vegetale (biochar) e pellet. Quest’ultimo, nello specifico, potrebbe ottenersi a partire dalle scorze di risulta dell’ammostamento, una volta essiccate: diversi campioni, sottoposti a opportune analisi chimiche, hanno evidenziato alto potere calorifico (conseguenza di elevati livelli di carbonio e idrogeno), unito a basso contenuto in ceneri (notevolmente inferiore rispetto a quello dei combustibili tradizionali). Sempre le trebbie – sfuse e trasformate in pellet – potrebbero costituire la materia per sfornare carbone vegetale, il cui prezioso carico intrinseco di carbonio e azoto andrebbe a incidere positivamente sui terreni, favorendone la ritenzione idrica e degli elementi nutritivi, così da ridurre il fabbisogno d’irrigazione e di fertilizzanti chimici. Da sottolineare come l’adozione di questi accorgimenti è in grado di sottrarre più carbonio di quanto ne emetta per creare energia: a ogni chilogrammo ne corrispondono tre anidride carbonica risparmiati all’atmosfera.
Altra prospettiva quella disegnata dal percorso imboccato negli Stati Uniti, da parte di un team di studiosi dell’Università del Colorado, con sede a Boulder, che si sono concentrati sull’acqua occorrente per il brassaggio. Sette volte tanta è quella necessaria per confezionare una qualsiasi quantità di birra; poi dev’essere smaltita, ma non prima di essere sottoposta a un’idonea operazione di filtraggio. Ebbene, in quanto ricca di zucchero, tale massa liquida rappresenta il terreno di crescita di un fungo, la neuropospora crassa, capace non solo di esercitare l’appena citata funzione di pulizia sul fluido refluo, ma di rappresentare, in sé, uno tra i più efficienti elettrodi per batterie al litio di derivazione naturale. Un requisito, questo, che consentirebbe di compiere significativi passi in avanti nella sperimentazione sulla produzione di (appunto) elettrodi da biomasse, metodica la cui problematica principale è costituita, al momento, dal costo e dalla limitata disponibilità dello stesso materiale grezzo