L’abbinamento perfetto tra birra e cibo: obiettivi e limiti

Prima di iniziare a parlare di tecniche e linee guida è importante focalizzare gli obiettivi sottostanti ogni tentativo di abbinamento. Tra le ragioni che ci spingono a ricercare il partner perfetto di un determinato piatto al primo posto c’è sicuramente l’intento edonistico. E in effetti un abbinamento ben riuscito deve essere in grado innanzitutto di ripulire e rinnovare il piacere del successivo boccone e, in secondo luogo, dar vita a sensazioni nuove, amplificando lo spettro delle percezioni olfattivo-gustative. Quindi non solo è in grado di aumentare la nostra voglia di continuare a godere dell’esperienza gastronomica in corso (pensate alla fatica nell’affrontare certe pietanze grasse senza l’aiuto detergente di un buon bicchiere), ma un matrimonio perfetto riuscirà a creare sensazioni terze rispetto a quelle messe in campo singolarmente da birra e cibo, amplificando l’esperienza finale. Centrare il bersaglio però non è cosa semplice. Bisogna affiancare a doti degustative, una buona conoscenza degli stili birrari, ed avere una certa sensibilità e conoscenza in campo gastronomico. E anche una volta apprese le tecniche e i segreti di un corretto abbinamento non è detto che si riesca a rispondere perfettamente alla fatidica domanda: quale birra posso abbinare con questo piatto?

Ricordiamoci sempre che le conclusioni tratte “sulla carta” devono sottostare al verdetto insindacabile della verifica “sul campo”. Passare dalla teoria alla pratica non è infatti cosa banale. Nel momento in cui si è convinti di aver fatto la scelta giusta sul piano dei principi, dietro l’angolo possono spuntare imprevisti e condizionamenti che possono manifestarsi durante l’assaggio. Tralasciando il concetto di soggettività, che in questo ambito è quanto mai un argomento da tenere in considerazione per evitare assolutismi inutili, un primo limite è da ricercare proprio nella difficoltà a definire a priori le caratteristiche di un piatto. Sembrerà banale, ma ogni incontro tra birra e cibo ha un finale diverso: basta aggiungere un filo d’olio in più, una spolverata di formaggio, una macinata di pepe, quel tocco di sale a fine cottura e voilà, ecco che i ragionamenti fatti a tavolino (e non a tavola…), sono pronti a traballare. Ricordiamoci inoltre che il matrimonio si consuma nel momento in cui mettiamo le gambe sotto la mensa e dunque siamo dentro i confini del puro edonismo. In altre parole, la parte cerebrale spesso è meno vigile in tali contesti; e con lei anche la capacità di cogliere sottili sfaccettature organolettiche. Anche l’ambiente ha un ruolo importante: può ad esempio emozionarci e giocare un ruolo positivo nella riuscita di un abbinamento. Pensate a un piatto di crudité di crostacei servito su una terrazza a picco sul mare, magari mettendo, su quella terrazza, anche la compagnia giusta: se da una parte il termometro edonistico registrerà il picco, dall’altra le ossessioni di un abbinamento perfetto si scioglieranno come neve al sole. Ma non temete, gli sforzi non saranno vani, perché anche in situazioni conviviali un abbinamento scorretto è sempre avvertibile, come del resto lo è un “match” vincente. Il consiglio, in definitiva, è quello di prendere l’esperienza dell’abbinamento come un gioco da condividere, di non renderlo eccessivamente intellettuale, ma di goderne a pieno.

Consapevoli dei nostri limiti e degli obiettivi la parola d’ordine è sempre una sola: sperimentare. Lo ricorda anche Luigi Veronelli, che in “Matrimoni d’amore” scrive: come succede nei matrimoni, tra vini e cibi esistono incompatibilità di carattere; vanno quindi sposati con giudizio. Di contro è bene sottolineare: cibi e vini sono libertini, la monogamia è rarissima; frequenti da una parte e dall’altra, le scappatelle, i rapidi amori, gli escamotages. Avrei regole drastiche su cosa non si deve fare, quanto sul fare: libero spazio alla fantasia, cambia, tenta, ubriacati, già nella ricerca della gioia.