Tecniche di servizio della birra

Sulla scorta delle tradizione affermatasi nelle diverse aree di più antica produzione, esistono metodi di mescita e di spillatura differenti fra loro che vanno applicati a seconda della tipologia e delle caratteristiche della birra da servire. Prima di passare alla loro illustrazione è fondamentale capire quali sono le leve da muovere durante il servizio e gli effetti che queste generano nel bicchiere e sulla degustazione.

Partiamo da un principio generale: nel servire una birra (bottiglia o spina che sia) maggiore è la distanza tra il punto di partenza del flusso e quello di “atterraggio” nel vetro, maggiore sarà la rottura e conseguente dispersione di anidride carbonica contenuta nel liquido. Questo avrà ripercussioni sia sulla frizzantezza che sul profilo organolettico finale. L’operazione è di per sé molto importante: rimuovendo la CO2 in eccesso libereremo il prodotto da un inquilino tutt’altro che inerte sotto il profilo sensoriale (la sovrasaturazione dà sensazioni pungenti sulla lingua e arriva a comunicare impressioni metalliche); la schiuma sarà un opportuno “scudo protettivo” rispetto ai deterioramenti causati dall’esposizione diretta all’aria; e soprattutto permetterà, se effettuata nel migliore dei modi, di valorizzare al massimo la birra stessa. Le ripercussioni di una desaturazione incidono anche sul profilo aromatico: pensiamo ad una pilsner servita in modo tale da liberare molta schiuma rispetto ad un altra servita in modo tale da liberare una quantità ridotta di CO2: nel primo caso la birra risulterà con un profilo maltato più marcato, mentre con la seconda modalità si darà maggiore enfasi al profilo luppolato (motivo per cui non si tendono a sgasare molto i prodotti in stile American IPA e affini).

 

Servizio alla belga

Se si ha a che fare con un prodotto filtrato (senza dunque alcun deposito di lieviti), si procede in un solo momento, o come si usa nel gergo birrario, in un solo “colpo”. Questa la sequenza da osservare: iniziare la mescita lentamente e tenendo il bicchiere a 45°, per poi raddrizzarlo gradualmente, ma sempre mantenendolo all’altezza degli occhi per controllare la quantità di schiuma che si va formando. Nel caso invece di un prodotto non filtrato si utilizzerà un sistema in due colpi: il movimento iniziale (quello appena descritto per le birre limpide) s’interromperà una volta raggiunti grossomodo i tre quarti della birra da versare; per poi effettuare, con l’ultimo quarto rimasto nel vetro, il cosiddetto “risciacquo” dei lieviti depositatisi sul fondo (secondo colpo). A tal fine, si dovrà far ruotare la bottiglia attorno a un ideale asse longitudinale parallelo al proprio, in modo da raccogliere il sedimento sfruttando la circolazione del liquido all’interno; e la densa miscela che ne risulterà sarà quindi versata da una posizione la più vicina possibile alla parete del bicchiere, per agevolarne lo scivolamento e l’amalgama con la birra già servita.

 

Servizio all’inglese

È la tecnica più semplice, in quanto si attua – non prevedendo differenza alcuna tra prodotti filtrati o provvisti di sospensioni – attraverso una procedura caratterizzata da un singolo colpo di mescita. In questo caso il bicchiere viene tenuto costantemente a 45° e portato poi in posizione verticale più o meno velocemente in base alla schiuma che si sta addensando all’interno del bicchiere: avendo cura di non intensificare oltre misura l’impatto e di non forzare, con ciò, la formazione di schiuma da parte di un contenuto in gas che normalmente – nelle birre provenienti dal Regno Unito o che ai suoi stili si rifanno – risulta alquanto esiguo. Effettuare eccessive sollecitazioni meccaniche su simili prodotti corre il rischio di svigorirne inopportunamente la carbonazione, generando strati spumosi a grana grossolana, destinati a dileguarsi rapidamente.

Servizio alla tedesca

Si tratta della procedura più articolata e pittoresca: sviluppata in ben tre colpi (e con una durata di circa 7 minuti), tanto che si abbia a che fare con una birra filtrata quanto con una che invece non lo sia. Cominciamo dal primo caso: partenza con il bicchiere a 45° e veloce raddrizzamento a 90° rispetto alla bottiglia (che resta in posizione orizzontale) in modo da andare a formare una quantità di schiuma pari più o meno a tre quarti del bicchiere, raggiungendone la cima (primo colpo); pausa di due, tre minuti per consentire alla schiuma di addensarsi in quattro o cinque dita, e poi di nuovo con la bottiglia a 90° con bicchiere fermo a terra fino a portare il cappello di spuma nuovamente all’orlo del bicchiere (secondo colpo): altra pausa di un minuto circa, quindi travaso finale della birra rimasta (terzo colpo), così da costruire una bella corona di schiuma. Secondo caso, le birre non filtrate, come le Weizen, ad esempio. Partenza come sempre a 45° e poi rapido cambio a 90° per una mescita tesa a erigere la canonica colonna di schiuma pari in altezza ai tre quarti del bicchiere, fino al suo bordo (primo colpo); pausa di rito, due o tre minuti, e poi via al secondo colpo, volto a fare raggiungere alla schiuma nuovamente la cima del bicchiere, ma mantenendo la bottiglia orizzontale, evitando cioè di versare i lieviti in essa presenti; questi ultimi entrano in scena solo al terzo colpo, quando si raddrizza la bottiglia, la si fa ruotare proprio per raccogliere il sedimento e infine si versa la “crema” di birra e lievito, con l’accorgimento (come nella spillatura alla belga) di farla scorrere lungo la parete del bicchiere.

Chiudiamo i cenni relativi alle pratiche di servizio, toccando la questione della gestione – nelle birre rifermentate o comunque non filtrate – dei lieviti residui adagiati sul fondo della bottiglia. Che fare con quei depositi? Possiamo ignorarli (si mesce in bicchiere finché il prodotto risulta abbastanza limpido, lasciando il resto del liquido inutilizzato), oppure recuperarli lasciando una parte del liquido nella bottiglia e imprimendo ad essa un moto rotatorio e completando la mescita riversando il tutto nel bicchiere. Ciò – si badi bene! – a patto, però, che quel “fondo” non sia eccessivo nella quantità, tanto da andare a rendere la birra inopportunamente torbida, alterandone le caratteristiche gusto-olfattive. La scelta comunque dipende dalla tipologia (es. le birre anglosassoni per tradizione non amano particelle in sospensione a differenza delle birre belghe che ammettono velature o delle tedesche weizen, per natura opalescenti).